Il summit degli Stati Uniti con i leader dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico rappresenta l’inizio di una nuova era nelle relazioni bilaterali. Biden nomina Yohannes Abraham ambasciatore dell’Asean
Stando al Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il vertice a Washington con i leader dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean) conclusosi venerdì ha rappresentato l’inizio di una “nuova era” nelle relazioni tra l’America e la regione.
Progressi sì, ma con cautela
In realtà, al di là delle dichiarazioni pompose e di alcuni annunci pure rilevanti, dal comunicato diffuso a fine incontro emerge sostanzialmente una riconferma di posizioni già note. Non significa che progressi non siano stati fatti, ma che l’opera di convincimento dell’amministrazione Biden per portare l’Asean dalla propria parte nella competizione con la Cina è delicata e deve procedere per piccoli passi: avanzate troppo brusche o – peggio – vere e proprie strattonate porterebbero a un fallimento strategico.
Nel comunicato, dunque, non si fa menzione né della Russia né della Cina perché alcuni Paesi del Sud-est asiatico hanno legami importanti con l’una e/o con l’altra. E però nel documento si legge, in riferimento alla guerra in Ucraina, che il blocco rispetta “la sovranità, l’indipendenza politica e l’integrità territoriale”: non è tanto ma nemmeno poco, considerato che solo Singapore ha imposto sanzioni contro Mosca; Indonesia e Filippine, ad esempio, hanno sì condannato l’aggressione ma senza tirare in causa Vladimir Putin; la giunta militare del Myanmar (non invitata al vertice dalla Casa Bianca), invece, è addirittura favorevole all’invasione.
Dell’Asean – un’area vivacissima dal punto di vista economico, e pertanto contesa tra Washington e Pechino – fanno parte Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam.
Il summit ha inoltre permesso di elevare lo status delle relazioni tra Stati Uniti e Asean, passate da partnership strategica a “partnership strategica completa”: un level-up certamente formale ma ciononostante rilevante sul piano politico, perché equipara la relazione del Sud-est asiatico con Washington a quella con Pechino, che l’anno scorso vi aveva appunto stretto una comprehensive strategic partnership.
“Il nostro rapporto con voi è il futuro”
Della Cina – come accennato – non si è parlato nel comunicato, né il Paese è stato nominato da Biden o dalla vicepresidente Kamala Harris nei loro discorsi. I due hanno comunque rilasciato dichiarazioni notevoli: il primo ha detto che “gran parte della storia del nostro mondo nei prossimi cinquant’anni verrà scritta nei Paesi dell’Asean, e il nostro rapporto con voi è il futuro”; la seconda ha garantito che gli Stati Uniti resteranno nel Sud-est asiatico per “generazioni” e ribadito l’importanza di mantenere la libertà di navigazione. Tutto il summit è servito all’amministrazione Biden proprio per ricordare ancora una volta che, nonostante l’invasione russa, il focus degli Stati Uniti rimane sull’Indo-Pacifico e sulla sfida sistemica con la Cina.
A conferma concreta dell’impegno americano, venerdì il Presidente ha annunciato la nomina di Yohannes Abraham ad ambasciatore nell’Asean, riempiendo finalmente un ruolo scoperto dal 2017. E ha promesso fondi per 150 milioni di dollari per lo sviluppo di infrastrutture, di impianti energetici e di altri progetti nella regione: forse un po’ poco, se paragonati agli 1,5 miliardi in tre anni di aiuti allo sviluppo annunciati dalla Cina a novembre. Biden, peraltro, non ha ancora presentato il Quadro economico per l’Indo-Pacifico (Ipef), l’accordo che dovrebbe compensare la ritirata americana dal patto commerciale Tpp: lo farà forse la settimana prossima, quando visiterà il Giappone.
Infine, gli Stati Uniti hanno detto che schiereranno imbarcazioni della Guardia costiera nelle acque asiatiche per rispondere ai pescherecci cinesi che sconfinano nelle porzioni di mare di altre nazioni. È una dimostrazione di come la sfida tra Washington e Pechino sia anche – e forse soprattutto – una lotta per la potenza navale e la capacità di controllare le rotte marittime.
L’Asean non ha sempre risposto bene alle azioni militari americane nel Pacifico. Ad esempio, quando gli Stati Uniti annunciarono l’accordo Aukus sui sottomarini nucleari con l’Australia e il Regno Unito – fondamentale per il contenimento cinese –, l’Indonesia e la Malaysia protestarono, temendo per la proliferazione delle armi atomiche.
In realtà, al di là delle dichiarazioni pompose e di alcuni annunci pure rilevanti, dal comunicato diffuso a fine incontro emerge sostanzialmente una riconferma di posizioni già note. Non significa che progressi non siano stati fatti, ma che l’opera di convincimento dell’amministrazione Biden per portare l’Asean dalla propria parte nella competizione con la Cina è delicata e deve procedere per piccoli passi: avanzate troppo brusche o – peggio – vere e proprie strattonate porterebbero a un fallimento strategico.