Next Generation EU: sbloccato veto di Polonia e Ungheria
Next Generation EU: superati i veti di Polonia e Ungheria. "L'Ue va avanti", esulta la von der Leyen. Anche Conte soddisfatto, ma l'Italia riuscirà veramente a correre?
Next Generation EU: superati i veti di Polonia e Ungheria. “L’Ue va avanti”, esulta la von der Leyen. Anche Conte soddisfatto, ma l’Italia riuscirà veramente a correre?
Alla fine, la Cdu tedesca, e dietro a tutti la Cancelliera Angela Merkel, ha fornito al premier ungherese Victor Orbán, “alleato” a Strasburgo nel Ppe, un salvacondotto ben confezionato per presentarsi alle elezioni del 2022 senza troppi rischi di vedersi cancellati i fondi Ue per mancato rispetto delle norme Ue sullo Stato di diritto.
Certo, la presidenza tedesca – che ha negoziato fino alla vigilia del Consiglio europeo di giovedì e venerdì scorsi – potrà sempre dire che il testo finale del regolamento sullo Stato di diritto bloccato dal veto di Polonia e Ungheria (dal quale dipendeva la sorte di 1800 miliardi di euro tra bilancio Ue 2021-2027 e Next Generation Ue) è rimasto quello voluto da Consiglio e Parlamento, ma l’interpretazione che gli si dà con il richiamo alle “identità nazionali”, la riduzione di poteri in capo alla Commissione e il ricorso al voto all’unanimità del Consiglio sulle questioni da portare alla Corte di Giustizia consentono a Orbán e al premier polacco Mateusz Morawiecki di presentarsi alle rispettive opinioni pubbliche in fase pre-elettorale, vendendo una vittoria sulla burocrazia di Bruxelles in difesa della loro identità nazionale.
C’è da dire, tuttavia, che i termini del compromesso (non tutti così chiari e condivisibili) non sembra abbiano scaldato più di tanto i cuori dei politici italiani, molto impegnati a risolvere i rebus sulla tenuta della maggioranza dopo le minacce di Matteo Renzi e il futuro della governance del Recovery Plan e della task force che dovrebbe guidarlo.
“L’Europa va avanti”, esulta la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, relegando i termini del compromesso alla bassa “intendenza” dei servizi giuridici che comunque hanno portato a casa un risultato apprezzato anche dal Presidente francese Emmanuel Macron, secondo il quale “l’Europa non rinuncia ai suoi valori”. Giuseppe Conte si mostra soddisfatto. Il veto di Polonia e Ungheria avrebbe bloccato anche i 209 miliardi di euro destinati al nostro Paese, tra sovvenzioni a fondo perduto e crediti. “Ora avanti tutta con la fase attuativa – scrive su Twitter il premier italiano – dobbiamo solo correre”.
Ma riusciremo veramente a correre? I tempi sono stretti, anche se lo stesso Conte spiega alla fine del vertice europeo che per le ratifiche del Recovery Fund “il clima è molto buono, anche da Paesi che sono stati più diffidenti. Non c’è stato nessun segnale di nervosismo, non ci aspettiamo un cammino irto ma ragionevolmente sarà difficile che potremo partire prima di febbraio”. Conte si mostra aperto al dialogo con tutti (da Renzi all’opposizione) e spiega come il nostro Paese sia l’unico a coinvolgere il Parlamento nel Recovery Plan ma senza esautorare Ministeri e istituzioni. Il Presidente del Consiglio vuole soprattutto smentire le voci che vedrebbero preoccupati gli altri leader europei a causa delle fibrillazioni politiche di casa nostra. “Semmai – dice il premier italiano – alcuni si sono complimentati del passaggio parlamentare sul Mes; qualcuno ha seguito il dibattito e l’espressione di forza della maggioranza e di coesione è stata molto apprezzata; questo sicuramente ha rafforzato me e l’Italia. Ma nessuno mi ha chiesto dettagli su fibrillazioni interne”.
Certo, Conte non nasconde che “ci sono istanze critiche” che richiederanno un “doveroso confronto con Italia Viva e con gli altri”. E questo perché “per andare avanti abbiamo bisogno di determinazione e fiducia reciproca, le sfide sono troppo complesse per affrontarle in modo diverso”. Conte premette di non essere “arrogante o spocchioso”. Non vede però nel 2021 un anno di elezioni ma semmai di lavoro per guidare eventi internazionali di grande impegno, dal G20alla Cop 26 con gli inglesi, fino al Global Health Summit il 21 maggio insieme alla Commissione Ue. Tutti eventi, dice Conte, che “non si possono affrontare se non c’è da parte di tutti piena convinzione, determinazione, convergenza verso l’obiettivo che non può che essere il bene dell’Italia”.
Alla fine, la Cdu tedesca, e dietro a tutti la Cancelliera Angela Merkel, ha fornito al premier ungherese Victor Orbán, “alleato” a Strasburgo nel Ppe, un salvacondotto ben confezionato per presentarsi alle elezioni del 2022 senza troppi rischi di vedersi cancellati i fondi Ue per mancato rispetto delle norme Ue sullo Stato di diritto.
Certo, la presidenza tedesca – che ha negoziato fino alla vigilia del Consiglio europeo di giovedì e venerdì scorsi – potrà sempre dire che il testo finale del regolamento sullo Stato di diritto bloccato dal veto di Polonia e Ungheria (dal quale dipendeva la sorte di 1800 miliardi di euro tra bilancio Ue 2021-2027 e Next Generation Ue) è rimasto quello voluto da Consiglio e Parlamento, ma l’interpretazione che gli si dà con il richiamo alle “identità nazionali”, la riduzione di poteri in capo alla Commissione e il ricorso al voto all’unanimità del Consiglio sulle questioni da portare alla Corte di Giustizia consentono a Orbán e al premier polacco Mateusz Morawiecki di presentarsi alle rispettive opinioni pubbliche in fase pre-elettorale, vendendo una vittoria sulla burocrazia di Bruxelles in difesa della loro identità nazionale.
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