Dopo l’incontro tra Biden e Xi, si lavora alla dichiarazione congiunta: possibile nuova condanna alla Russia come avvenuto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
È un mondo nuovo e in cerca di rinnovata identità sul piano delle relazioni internazionali quello che si incontra in questi giorni a Bali per il G20, occasione unica di confronto diplomatico che, nelle parole dei leader convenuti in Indonesia, permette di analizzare i punti salienti della stabilità economica e dei timori di una potenziale Guerra Fredda in chiave moderna. Si intravedono spiragli di apertura dopo il lungo faccia a faccia, durato più di 3 ore, tra il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e quello della Cina Xi Jinping, ma anche in seguito al monito del padrone di casa Joko Widodo, che segnala l’importanza del successo del G20, “che non deve fallire”.
Chiaramente l’attenzione principale è stata riposta sul vis-à-vis tra Biden e Xi, durato a lungo e utile per chiarire alcuni aspetti della relazione tra le due potenze, che — come si legge nel readout pubblicato dalla Casa Bianca — di fatto è “una competizione che non deve scadere nel conflitto, da gestire responsabilmente mantenendo aperte le linee di comunicazione”. Un incontro che ha messo sul tavolo tutte le preoccupazioni e i fastidi di entrambi i Paesi: per Washington, fortemente legate ai diritti e al libero passaggio nelle acque dell’Indo-Pacifico; per Pechino, sulla One China Policy e le pressioni su Taiwan.
Entrambi i Presidenti arrivano a Bali e all’incontro bilaterale forti di successi politici interni, con il XX Congresso del Partito Comunista che consolida il potere di Xi, e le elezioni di metà mandato negli States che offrono a Biden una grande chance in vista delle prossime presidenziali. Il mantenimento del controllo al Senato aiuta l’immagine del Commander in Chief e del Partito Democratico, oscurando la paventata ondata rossa cavalcata dall’ex Presidente Donald Trump, iniziatore della politica di contenimento della Cina e della situazione attuale con Pechino. Situazione mantenuta, se non esacerbata, da Biden, che trova proprio a Bali se non un chiarimento perlomeno una chiarifica delle posizioni delle nazioni.
Dalla relazione tra Usa e Cina passano innumerevoli direttrici che coinvolgono tanti altri Stati presenti al G20, come l’Australia. Il Primo Ministro Anthony Albanese e il Premier cinese Li Keqiang hanno avuto, a loro volta, un meeting — il primo in tre anni tra Canberra e Pechino — dopo una lunga serie di diatribe, le principali legate proprio alla presenza cinese nel Pacifico e sulla gestione dei diritti umani. Un minimo storico nelle relazioni che si cerca di superare, con Albanese che ha affermato che la conversazione avuta con Li è stata “positiva e costruttiva”. Sfaccettature dal grande significato: si attende di vedere i risvolti concreti all’indomani della chiusura dei lavori del G20.
L’invasione della Russia in Ucraina, come più volte notato, ha modificato lo status quo a livello internazionale. D’altro canto, si cerca di trovare la quadra sul come gestire questa complicata fase della guerra, che ha visto il ritiro delle truppe moscovite da Kherson. Ogni occasione è stata sfruttata da Occidente per cercare di mettere all’angolo la Federazione sull’operazione militare, non sempre con successo. Il caso dell’incontro Quad di maggio è significativo, con l’India opposta a toni duri verso Mosca.
Stavolta, al G20 si parla di bozza non dissimile alla risoluzione votata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che reciterebbe “molti dei membri condannano la guerra in Ucraina e segnalano l’immensa sofferenza umana che questa ha causato, e l’esacerbazione delle fragilità all’economia globale”. Si punta sulla Cina per spingere Vladimir Putin alla fine delle ostilità: quando è stato interpellato sul ruolo del Pcc, il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha evitato critiche dirette alla nomenclatura pechinese, evidenziando come il G20 è semmai stato utile per convincere le nazioni presenti “a mettere pressione sulla Russia”.
È un mondo nuovo e in cerca di rinnovata identità sul piano delle relazioni internazionali quello che si incontra in questi giorni a Bali per il G20, occasione unica di confronto diplomatico che, nelle parole dei leader convenuti in Indonesia, permette di analizzare i punti salienti della stabilità economica e dei timori di una potenziale Guerra Fredda in chiave moderna. Si intravedono spiragli di apertura dopo il lungo faccia a faccia, durato più di 3 ore, tra il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e quello della Cina Xi Jinping, ma anche in seguito al monito del padrone di casa Joko Widodo, che segnala l’importanza del successo del G20, “che non deve fallire”.
Chiaramente l’attenzione principale è stata riposta sul vis-à-vis tra Biden e Xi, durato a lungo e utile per chiarire alcuni aspetti della relazione tra le due potenze, che — come si legge nel readout pubblicato dalla Casa Bianca — di fatto è “una competizione che non deve scadere nel conflitto, da gestire responsabilmente mantenendo aperte le linee di comunicazione”. Un incontro che ha messo sul tavolo tutte le preoccupazioni e i fastidi di entrambi i Paesi: per Washington, fortemente legate ai diritti e al libero passaggio nelle acque dell’Indo-Pacifico; per Pechino, sulla One China Policy e le pressioni su Taiwan.