54 Paesi africani hanno firmato la Dichiarazione di Nairobi che chiede l’introduzione a livello globale di una carbon tax “sul commercio di combustibili fossili, sui trasporti marittimi e sull’aviazione a cui potrebbe essere aggiunta una tassa globale sulle transazioni finanziarie”
Non esiste forse altro continente in cui il cambiamento climatico abbia prodotto, continui a produrre e determinerà soprattutto in futuro conseguenze tanto drastiche quanto in Africa. Per questa ragione, il primo summit africano sul clima era tanto atteso. Il meeting si è tenuto da lunedì 4 a mercoledì 6 settembre a Nairobi, in Kenya, ed ha visto la partecipazione dei 54 Paesi africani.
Il summit è soltanto il primo di una serie di incontri intergovernativi che avranno luogo nei prossimi due mesi, in preparazione alla COP28, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici prevista per la fine di novembre a Dubai. L’incontro di Nairobi doveva quindi servire per un confronto tra gli stati africani, in modo da portare alcune posizioni comuni all’evento conclusivo.
Considerando quelli che erano gli obiettivi iniziali, quindi, il meeting africano può essere visto come un successo, almeno parziale. Al termine della conferenza, infatti, i 54 Paesi si sono trovati d’accordo nell’adottare un documento comune, la Dichiarazione di Nairobi, che dovrebbe dettare la linea del continente alla COP28.
Tra i vari temi toccati dalla Dichiarazione, una posizione centrale è senza dubbio riservata alla necessità per l’Africa di puntare con forza sulle energie rinnovabili. Il documento, in particolare, pone l’obiettivo di “aumentare la capacità africana di generazione di energia rinnovabile dai 56 GigaWatt del 2022 a almeno 300 GigaWatt nel 2030”. Oltre ad andare nella direzione di una decarbonizzazione, l’investimento sulle fonti green permetterebbe anche di affrontare il problema della povertà energetica, rendendo possibile ad un numero sempre più elevato di persone l’accesso ad energia a basso costo. Si tratta di una questione cruciale per il continente, che come evidenzia il documento conta oggi 600 milioni di persone senza accesso all’elettricità e quasi un miliardo a cui manca la possibilità di cucinare in maniera adeguata e pulita.
Per rendere possibile la transizione ecologica, gli stati africani chiedono anche che al continente vengano riservati più fondi provenienti dal resto del mondo per la produzione di energia pulita. Secondo un rapporto pubblicato in questi giorni dall’Agenzia internazionale dell’energia e ripreso da Le Monde, infatti, in Africa arriva al momento solo una quota minima degli investimenti mondiali nel settore, pari al 3% del totale. Inoltre, la Dichiarazione chiede agli stati ad alto reddito di rendere possibile per gli stati africani “l’accesso e il trasferimento di tecnologie rispettose dell’ambiente”, così da facilitare un progresso nella produzione di energia pulita.
Infine, il documento adottato a Nairobi chiede l’introduzione a livello globale di una carbon tax “sul commercio di combustibili fossili, sui trasporti marittimi e sull’aviazione, a cui potrebbe essere aggiunta una tassa globale sulle transazioni finanziarie”. Questi nuovi strumenti, secondo gli stati africani, permetterebbero di trovare le risorse necessarie per agire a livello sovranazionale nel contrasto al cambiamento climatico.
La conferenza di Nairobi e le sue conclusioni erano fondamentali, secondo alcuni analisti, per garantire un successo della prossima COP. Se il continente africano si fosse mostrato infatti poco ambizioso, i successivi meeting si sarebbero a loro volta dimostrati più probabilmente restii ad agire in maniera decisa nell’ottica di una transizione ecologica. La Dichiarazione finale, dunque, rappresenta un passo importante, che potrebbe spingere anche altri Paesi a mostrarsi propositivi.
Nonostante l’ottimismo, restano però alcune importanti criticità. Come sottolineato a gran voce in questi giorni nelle numerose manifestazioni che hanno accompagnato il meeting nella capitale del Kenya, le COP si sono dimostrate fin qui uno strumento poco efficace. Secondo gli attivisti che hanno protestato per le strade di Nairobi, queste continuano a privilegiare gli interessi dei Paesi più ricchi, mentre fanno ben poco per decolonizzare il sistema energetico, che vede ancora un forte sfruttamento del continente africano e delle sue risorse da parte delle maggiori potenze. Uno sfruttamento che, se non affrontato, continuerebbe con ogni probabilità anche con il passaggio da gas e petrolio alle fonti verdi.
Non esiste forse altro continente in cui il cambiamento climatico abbia prodotto, continui a produrre e determinerà soprattutto in futuro conseguenze tanto drastiche quanto in Africa. Per questa ragione, il primo summit africano sul clima era tanto atteso. Il meeting si è tenuto da lunedì 4 a mercoledì 6 settembre a Nairobi, in Kenya, ed ha visto la partecipazione dei 54 Paesi africani.