Sull’attacco al Congresso il premier Conte non ha pronunciato una chiara condanna nei confronti di Trump. Ora punta al riposizionamento strategico
Il più duro, stanti i pericolosi venti di crisi che aleggiano sulla maggioranza, è stato il renziano Luciano Nobili con il suo “C’è qualcuno a Palazzo Chigi? Quando arriva la condanna di Conte?” Ma anche l’ex segretario dem, Walter Veltroni, ha ricordato che “non si può commentare l’attacco alla democrazia americana senza condannare esplicitamente chi ne è responsabile”. E anche il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando sulla vicenda dell’assalto dei trumpiani a Capitol Hill ha chiarito: “Io avrei detto di più. Bisogna essere chiari, la violenza è inaccettabile ed è stata innescata da Trump”. Orlando che difende di solito Conte come “punto di equilibrio” per la maggioranza, ha trovato fin troppo timido il tweet con il quale, nella serata dell’Epifania, il Presidente del Consiglio italiano è intervenuto in ritardo sull’assalto al Congresso americano. “La violenza è incompatibile con l’esercizio dei diritti politici e delle libertà democratiche”, ha scritto Conte senza mai citare le responsabilità del Presidente uscente.
Un abisso rispetto a quanto fatto dallo stesso premier inglese Boris Johnson e dalla Cancelliera Angela Merkel, che ha “deplorato” il comportamento di Trump che “non ha riconosciuto il risultato delle elezioni e ha preparato l’atmosfera per gli eventi della notte scorsa.”. Mentre il Presidente francese Emmanuel Macron ha almeno citato il fatto che sono stati “i sostenitori di Trump a mettere in discussione con le armi il risultato legittimo”.
È un fatto che la timidezza di Conte sta diventando ora un caso anche perché ha riportato d’attualità quanto accadde il 7 novembre scorso, quando i capi di Governo di tutto il mondo avevano riconosciuto la vittoria di Biden come Presidente eletto e il premier italiano aveva preferito fare i complimenti al “popolo e alle istituzioni americane”. Gaffe che obbligò il giorno seguente Conte a riformulare meglio gli auguri a Biden.
Ma il Presidente del Consiglio vuole evitare in tutti i modi che si possa guardare a un ruolo decisivo di Trump nel via libera d’oltre Oceano al suo secondo incarico di Governo con quell’endorsement all’amico “Giuseppi” subito dopo il vertice G7 di Biarritz del 2019. Da qualche giorno è in atto una vera e propria strategia ad ampio raggio di “riposizionamento strategico” per avvicinare gli uomini di Biden, a cominciare da Anthony Blinken, colui che ricoprirà il ruolo di segretario di Stato.
È la diplomazia italiana la più impegnata in questa opera di ricucitura che vede molto attivo l’attuale ambasciatore italiano a Washington, Armando Varricchio (sia pure in regime di prorogatio), già consigliere diplomatico di Matteo Renzi a Palazzo Chigi e dell’attuale consigliere diplomatico di Conte, l’ambasciatore Pietro Benassi. Un’azione che si rivolge anche nei confronti della nuova Flotus (First Lady of The United States), l’italo americana Jill Tracy Jacobs, originaria di Gesso in provincia di Messina da dove proveniva suo nonno Gaetano Giacoppo. In realtà, Farnesina e Palazzo Chigi hanno anche buoni strumenti per rasserenare i rapporti tra Roma e Washington. Toccherà infatti all’Italia guidare per tutto il 2021 il G20 fino al vertice finale di fine ottobre a Roma, mentre il 21 maggio sarà sempre il nostro Paese a organizzare l’Health Global Summit sulla pandemia. Due appuntamenti che richiederanno un grande sintonia tra Roma e Washington e che potrebbero favorire l’auspicabile riavvicinamento.
Difficile però cancellare del tutto l’ombra delle accuse e dei sospetti per l’affare Barr-Mifsud. Ora è Italia viva di Renzi a gettare benzina sul fuoco, chiedendo la cessione della delega sui servizi da parte di Conte per chiarire finalmente se nell’estate del 2019 vi fu quell’intreccio di contatti e appoggi tra amministrazione Trump e Governo italiano durante le due visite del guardasigilli americano l’Attorney general, William Barr, che cercava le prove di un complotto ordito ai danni del Presidente Usa sul Russiagate. Nell’ottobre scorso Conte ha spiegato al Copasir che non vi fu alcun ruolo dei nostri servizi nel Russiagate ma solo scambi di informazioni. In particolare Barr, nel corso di due viaggi in agosto e settembre del 2019, chiedeva notizie su Joseph Mifsud, docente maltese passato per la Link Campus University di Roma attualmente irreperibile, che nel 2016 avrebbe passato a George Papadopoulos, consulente dell’allora candidato Donald Trump, la ‘polpetta avvelenata’ delle email di Hillary Clinton in mano ai russi.
Vicenda sulla quale, nelle due sponde dell’Oceano e per motivi magari diversi, sono in molti ad avere tutto l’interesse nello stendere un velo di generale oblio.
Sull’attacco al Congresso il premier Conte non ha pronunciato una chiara condanna nei confronti di Trump. Ora punta al riposizionamento strategico
Il più duro, stanti i pericolosi venti di crisi che aleggiano sulla maggioranza, è stato il renziano Luciano Nobili con il suo “C’è qualcuno a Palazzo Chigi? Quando arriva la condanna di Conte?” Ma anche l’ex segretario dem, Walter Veltroni, ha ricordato che “non si può commentare l’attacco alla democrazia americana senza condannare esplicitamente chi ne è responsabile”. E anche il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando sulla vicenda dell’assalto dei trumpiani a Capitol Hill ha chiarito: “Io avrei detto di più. Bisogna essere chiari, la violenza è inaccettabile ed è stata innescata da Trump”. Orlando che difende di solito Conte come “punto di equilibrio” per la maggioranza, ha trovato fin troppo timido il tweet con il quale, nella serata dell’Epifania, il Presidente del Consiglio italiano è intervenuto in ritardo sull’assalto al Congresso americano. “La violenza è incompatibile con l’esercizio dei diritti politici e delle libertà democratiche”, ha scritto Conte senza mai citare le responsabilità del Presidente uscente.
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