Danilo Elia è giornalista Rai. Da anni scrive per diverse testate di spazio post-sovietico, con particolare attenzione all’area slava: Russia, Bielorussia e Ucraina. È autore di libri di viaggio, l’ultimo “Intorno al Mare” per Mursia. @daniloeliatweet
Alexey Meshkov, il vice del ministro degli Esteri russo Lavrov, ha raccontato al III Forum eurasiatico di Verona una barzelletta che non ha fatto ridere nessuno. Faceva più o meno così: ci sono due cowboy, John e Bill, che guardano una mandria di vacche che pascola. John dice a Bill, “Se ti mangi una cacca ti do un dollaro”. E Bill accetta. Riprendono a cavalcare e Bill dice a John…
Obama ha paragonato la Russia a ebola e Isis come pericolo globale mentre Kerry ha chiesto ai Paesi Nato di aumentare il budget militare per contrastare la minaccia da Est. La cortina di ferro è caduta e difficilmente risorgerà, ma i toni farebbero pensare il contrario.
L’affare Snowden ancora fresco, la guerra in Ucraina, le sanzioni occidentali e le controsanzioni russe, l’espulsione dal G8 e la minaccia di chiudere lo spazio aereo russo ai voli civili europei e americani. Eppure non c’è niente di più sbagliato che tirare in ballo la Guerra fredda.
Pavel Durov ne ha visti di attacchi informatici. È uno che ne capisce. Ma quando, qualche giorno fa, ha assistito a un assalto da 150 Gigabyte al secondo non ha creduto ai suoi occhi. “Non ho mai visto un attacco DDoS così forte come quello di oggi contro Telegram. E ne ho visti ai tempi di Vkontakte”.
Dall’annessione della Crimea al congelamento del conflitto in Donbass, la Russia sembra aver ottenuto molto dall’inizio della crisi in Ucraina. Ma ecco dove la politica aggressiva di Putin non ha ottenuto i risultati sperati.
Da quasi tre settimane c’è la tregua nel Donbass, ma si continua a sparare. E a morire. I media generalisti sembrano guardare altrove più che mai, mentre le parti politiche si riempiono la bocca di una pace inesistente. Gli abitanti delle città separatiste, intanto, attendono di conoscere il proprio destino in un clima di incertezza logorante.
Dal cantante Al Bano al filosofo Diego Fusaro, passando per l’ex dissidente Nicolai Lilin, sono sempre più i personaggi pubblici italiani colpiti del fascino di Vldadimir Vladimirovic Putin. Ma tra voglia di tirare l’acqua al proprio mulino ideologico e bisogno di visibilità, le ragioni sono spesso pretestuose. Ecco perché.
“Se voglio, mi prendo Kiev in due settimane”. Queste parole, dette da Putin al presidente della Commissione europea Barroso e riferite durante il vertice di sabato scorso, hanno fatto gelare il sangue nelle vene ai capi di stato dell’Ue.
Mentre a Kiev la parata per il giorno dell’indipendenza riempiva la Khreshatik, a Donetsk i separatisti hanno fatto sfilare sotto le baionette e tra due ali di folla inferocita alcuni prigionieri di guerra ucraini. Nelle stesse ore il Comitato internazionale della Croce rossa lasciava trapelare la decisione di classificare formalmente la crisi ucraina a “conflitto internazionale”. Questo apre la strada al tribunale dell’Aja.
La guerra nell’est dell’Ucraina è forse alla stretta finale. I separatisti di Novorossija perdono terreno ogni giorno che passa, mentre l’anello dell’esercito governativo attorno alla città di Donetsk si stringe sempre di più. Colpi d’artiglieria pesante cadono sulla città uccidendo chi non è potuto scappare, mentre ancora una volta le parti in guerra si accusano l’un l’altra. Ma chi spara su Donetsk?