Tornano a galla vecchie dispute marittime tra Filippine e Cina dopo lo stanziamento di 200 pescherecci cinesi nelle acque contese del Mar Cinese meridionale...
Tornano a galla vecchie dispute marittime tra Filippine e Cina dopo lo stanziamento di 200 pescherecci cinesi nelle acque contese del Mar Cinese meridionale…
“GET THE FUCK OUT”. Teodoro Locsin Jr. lo ha scritto proprio così, tutto in maiuscolo, in un thread su Twitter che rappresenta il punto più basso delle relazioni tra Manila e Pechino. Già, perché Locsin Jr. è il Ministro degli Esteri delle Filippine e il bersaglio della sua espressione, che di diplomatico ha ben poco, è la Cina. Alla base c’è una storica disputa territoriale tornata prepotentemente di attualità nelle scorse settimane, dopo lo stanziamento di una flottiglia di navi cinesi nelle acque contese. Una vicenda che si inserisce nel contesto delle oscillazioni diplomatiche delle Filippine che, in seguito all’avvicinamento al vecchio rivale cinese promosso dal Presidente Rodrigo Duterte e le tensioni con gli Stati Uniti di Donald Trump, sembrano essere in procinto di tornare (ma solo parzialmente) all’ovile dell’ex colonizzatore.
La tensione sulle navi cinesi
“Amici miei cinesi, come posso metterla educatamente? Lasciatemi pensare… Ecco… Levatevi dalle scatole!”, ha scritto Locsin Jr. “Che cosa state facendo alla nostra amicizia? Voi. Non noi. Noi ci stiamo provando. Ma voi sembrate dei tizi brutti e stupidi che cercano di catturare l’attenzione di un bel tipo che vuole semplicemente esservi amico”, ha proseguito il Ministro degli Esteri di Manila che ha poi chiesto “che cosa ci sia di così difficile da capire” nelle dichiarazioni di Duterte, il quale negli scorsi giorni aveva ricordato la sentenza del tribunale internazionale dell’Aja, che nel 2016 aveva dato ragione a Manila in riferimento alle dispute marittime nel Mar Cinese meridionale. Sentenza che non è mai stata riconosciuta dal Governo cinese. Cosa che ha creato non poche tensioni tra i due Paesi, ravvivate da oltre un mese, da quando circa 200 pescherecci cinesi hanno cominciato a stazionare nelle acque circostanti Juan Felipe (nome internazionale Whitsun Reef), atollo delle isole Spratly (che la Cina ritiene sue e chiama Nansha). Il segretario alla Difesa di Manila, Delfin Lorenzana, sostiene che Pechino voglia occupare più territori nelle acque contese e ha chiesto di “rispettare la sovranità delle Filippine sulle isole Kalayaan” (il nome utilizzato da Manila per le Spratly). Il 1° aprile Manila ha anche dichiarato di aver individuato delle strutture illegali in altri punti delle Spratly.
Duterte e la “separazione dagli Usa”
Le tensioni si erano però affievolite negli ultimi anni, dopo che Duterte aveva avviato sin dall’inizio del suo mandato presidenziale di voler lanciare una nuova stagione nei rapporti tra Manila e Pechino. A ottobre 2016, durante una sua visita nella capitale cinese, aveva annunciato la “separazione” delle Filippine dagli Usa e il “riallineamento” con la Cina. “L’America ha perso”, sentenziava Duterte poche settimane prima della vittoria di Trump alle elezioni. Negli anni successivi, le relazioni tra Pechino e Manila si sono intensificate. A livello economico nell’ambito della Belt and Road, ma anche a livello politico. Dopo la “chiamata alle armi” di Mike Pompeo, che lo scorso luglio aveva cercato di arruolare i Paesi del Sud-est asiatico contro la Cina in merito alle dispute marittime, Duterte aveva risposto freddamente, sostenendo che le attività cinesi nell’area “non si possono fermare”.
Il riavvicinamento di Biden
Nel 2020 il Presidente filippino ha persino annunciato che avrebbe “stracciato” il Visiting Forces Agreement, uno dei pilastri del trattato bilaterale di mutua sicurezza che, dal 1951, regola la partnership militare tra Manila e Washington. Alla base della scelta una polemica sulla revoca del visto americano all’ex capo della polizia delle Filippine, Ronald Dela Rosa, attivo nella guerra alla droga lanciata da Duterte che ha causato negli scorsi anni un’ondata di omicidi extragiudiziali. Ma se lo scorso anno Trump aveva risposto con indifferenza all’annuncio di Duterte, il neo Presidente Joe Biden sta cercando di riannodare il legame con il Paese del Sud-est asiatico, che tra le altre cose ha un’importanza cruciale per la sua posizione nei pressi dello Stretto di Taiwan. Gli scambi diplomatici tra Usa e Filippine si sono intensificati negli ultimi mesi. Qualche settimana fa, il nuovo segretario di Stato Antony Blinken ha avuto una conversazione telefonica con Locsin Jr., durante la quale entrambi hanno reiterato l’invito a Pechino a rispettare il pronunciamento arbitrale del 2016. D’altronde, le Filippine hanno iniziato a rivolgersi agli Stati Uniti dopo la recente escalation strategica nelle acque contese. I due Ministri degli Esteri hanno riaffermato la reciproca adesione al trattato bilaterale di mutua sicurezza e si sono da poco concluse delle esercitazioni militari congiunte durate due settimane. Hanno parlato tra loro anche il Consigliere alla Sicurezza Nazionale Usa Jack Sullivan e il suo omologo filippino Hermogenes Esperon, convenendo su un’azione coordinato nel Mar Cinese meridionale.
L’equilibrismo di Manila
Attenzione però a concludere frettolosamente che le Filippine abbiano scelto di stare dalla parte degli Stati Uniti. Duterte ha preso le distanze dal thread di Twitter di Locsin Jr., definito “maleducato”. “La Cina resta il nostro benefattore. Solo perché abbiamo un conflitto con la Cina non significa che dobbiamo essere scortesi e irrispettosi”, ha dichiarato il Presidente delle Filippine, richiedendo poi a Pechino di lasciare “che i nostri pescatori peschino in pace e non ci saranno problemi”. Duterte sta cercando di mantenere basso il livello dello scontro ed è riluttante a fronteggiare Pechino sul tema del Mar Cinese meridionale, anche perché le Filippine sono in una seria situazione di difficoltà sanitaria, a causa della pandemia da Covid-19. E il loro piano vaccinale dipende proprio dalle forniture cinesi, nonostante ci siano stati degli abboccamenti in tal senso anche con Washington. Proprio in questi giorni, Manila sta trattando l’invio su base mensile di quattro milioni di dosi del siero di Sinovac Biotech. Duterte si è invece fatto iniettare, a favore di telecamera, il siero prodotto da Sinopharm. L’arrivo di Biden e le ultime tensioni un risultato però intanto ce lo hanno avuto: dal progressivo scivolamento nell’abbraccio di Pechino, Manila è tornata a cercare di camminare con maggiore equilibrio lungo la sottile linea rossa che divide le due potenze.
Tornano a galla vecchie dispute marittime tra Filippine e Cina dopo lo stanziamento di 200 pescherecci cinesi nelle acque contese del Mar Cinese meridionale…
“GET THE FUCK OUT”. Teodoro Locsin Jr. lo ha scritto proprio così, tutto in maiuscolo, in un thread su Twitter che rappresenta il punto più basso delle relazioni tra Manila e Pechino. Già, perché Locsin Jr. è il Ministro degli Esteri delle Filippine e il bersaglio della sua espressione, che di diplomatico ha ben poco, è la Cina. Alla base c’è una storica disputa territoriale tornata prepotentemente di attualità nelle scorse settimane, dopo lo stanziamento di una flottiglia di navi cinesi nelle acque contese. Una vicenda che si inserisce nel contesto delle oscillazioni diplomatiche delle Filippine che, in seguito all’avvicinamento al vecchio rivale cinese promosso dal Presidente Rodrigo Duterte e le tensioni con gli Stati Uniti di Donald Trump, sembrano essere in procinto di tornare (ma solo parzialmente) all’ovile dell’ex colonizzatore.
La tensione sulle navi cinesi
Questo contenuto è riservato agli abbonati
Abbonati per un anno a tutti i contenuti
del sito e all'edizione cartacea + digitale della rivista di
geopolitica