Nel corso del colloquio di Busan i tre ministri degli Esteri hanno concordato di far progredire la cooperazione in sei aree, tra cui la sicurezza, l’economia e la tecnologia, e di preparare il prossimo vertice trilaterale dei leader dei tre giganti dell’Asia orientale
Cina, Giappone e Corea del Sud insieme allo stesso tavolo. Era difficile potesse (ri)succedere viste le tensioni degli ultimi anni, acuite soprattutto dalla guerra in Ucraina. E invece è successo. Domenica 26 novembre a Busan, importante città portuale della Corea del Sud, si è svolta la prima ministeriale degli Esteri tra i tre big dell’Asia orientale a distanza di quattro anni dall’ultima volta.
Un primo incontro di “studio”, che non ha portato svolte o accordi clamorosi, ma che è già di per sé un risultato importante perché riavvia un dialogo trilaterale che sembrava chiuso. Non solo. I ministri di Pechino, Tokyo e Seul si sono accordati per tenere il prima possibile un summit dei tre leader, che non si svolge dal 2019. Quasi un’altra epoca.
Allora, in Giappone c’era ancora il primo ministro Shinzo Abe e in Corea del Sud c’era il presidente democratico Moon Jae-in. Una contingenza favorevole al dialogo, con il leader cinese Xi Jinping che nel 2020 avrebbe dovuto recarsi sia a Tokyo sia a Seul per suggellare una “nuova era” dei rapporti. Viaggi mai avvenuti a causa dell’inizio della pandemia di Covid-19. Nel frattempo è cambiato tutto. Abe è stato assassinato nel luglio 2020 e nel marzo 2022, poche settimane dopo l’invasione russa, in Corea del Sud ha vinto le elezioni il conservatore Yoon Suk-yeol.
Nel corso del colloquio di Busan, durato 100 minuti, i ministri hanno concordato di far progredire la cooperazione in sei aree, tra cui la sicurezza, l’economia e la tecnologia, e di promuovere discussioni concrete per preparare il vertice trilaterale. Wang ha anche invitato i tre Paesi a riavviare al più presto i negoziati per un accordo trilaterale di libero scambio.
Le distanze, ovviamente, restano su diversi temi. A partire dal posizionamento strategico. Il cinese Wang Yi ha detto che i tre Paesi dovrebbero “opporsi alla demarcazione ideologica e resistere a mettere la cooperazione regionale in campi avversi”, un riferimento all’approfondimento dei rapporti di Tokyo e Seul con gli Stati Uniti. Nonostante Xi abbia incontrato il 15 novembre Joe Biden a San Francisco per ridurre le tensioni tra le due potenze, le frizioni restano. E l’architettura di sicurezza messa in piedi da Washington con Tokyo e Seul disturba molto Pechino.
A marzo 2023, Yoon ha riavviato i rapporti col Giappone, operando un allineamento a livello trilaterale degli scambi in materia di sicurezza con il vicino (tradizionalmente odiato) e Washington. Ad aprile, Yoon è stato alla Casa Bianca in visita di Stato, ottenendo l’estensione dell’ombrello nucleare. Ha poi ospitato a Busan un sottomarino americano a propulsione nucleare, ha aumentato esponenzialmente le esercitazioni congiunte e si prepara al pieno dispiegamento del Terminal High Altitude Area Defense (Thaad), il sistema di radar antimissile americano il cui primo acquisto nel 2016 causò una durissima battaglia diplomatica tra Corea del Sud e Cina. Ad agosto è andato in scena il summit di Camp David, che ha riunito proprio Yoon, Biden e il premier giapponese Kishida. Senza contare che Giappone e Corea del Sud sono sempre più integrati nell’orbita di partnership della Nato, tanto che non è da escludere un riavvio dei colloqui sulla possibile apertura di un ufficio di rappresentanza dell’Alleanza Atlantica a Tokyo.
Eppure, il riavvio del dialogo trilaterale con la Cina è considerato fondamentale per provare a ridurre le tensioni in Asia orientale. Il tempismo della ministeriale di Busan è interessante anche perché avviene pochi giorni dopo il lancio del primo satellite spia da parte della Corea del Nord. Era da tempo che Pyongyang provava nell’impresa, mancata per due volte negli scorsi mesi. Tanto da costare il posto al capo di stato maggiore, licenziato ad agosto.
Il terzo tentativo è stato quello buono. La differenza potrebbe averla fatta l’incontro di Vladivostok tra Kim Jong un e Vladimir Putin, avvenuto a settembre. Secondo i servizi segreti di Seul, dopo il vertice tra i due leader la Corea del Nord avrebbe fornito alla Russia progetto e dati dei lanci falliti. Mosca li avrebbe analizzati e fornito i suggerimenti necessari al lancio. In cambio di aiuti militari per la guerra in Ucraina. Secondo i media di regime, il satellite sarebbe già in grado di raccogliere immagini della base militare statunitense di Guam, cruciale epicentro strategico del Pacifico. Gli esperti sudcoreani per ora non confermano e sostengono possa anche trattarsi di un bluff.
La tensione è cresciuta ulteriormente dopo che Seul ha annunciato prima la sospensione parziale dell’accordo militare intercoreano del 2018, poi la cancellazione totale dopo che Pyongyang ha risposto con il lancio (fallito) dell’ennesimo missile balistico. Giovedì 30 novembre anche Seul lancerà il suo satellite spia (mentre il capo dell’intelligence Kim Kyou-hyun si è appena dimesso), già da lunedì 27 sono state avviate esercitazioni congiunte con Usa e Giappone.
La Corea del Nord ha preannunciato il lancio di altri satelliti e ha inviato truppe al suo confine meridionale per ripristinare i posti di guardia che erano stati rimossi dall’accordo del 2018. Pyongyang ha spiegato che il suo esercito non sarà più “vincolato” dall’intesa e riprenderà tutte le attività che erano state interrotte negli ultimi cinque anni.
Tornando a parlare con Pechino, Corea del Sud e Giappone sperano in un maggiore controllo sulle azioni di Kim da parte di Xi Jinping, che in passato ha mostrato più volte di non gradire le sue intemperanze. La giapponese Yoko Kamikawa ha affermato che una maggiore cooperazione trilaterale contribuirebbe alla pace regionale, dato che la situazione della sicurezza internazionale è diventata “più grave e complessa che mai”.
Da capire la prospettiva cinese sull’avvicinamento tra Pyongyang e Mosca. A fine luglio, Xi ha inviato una delegazione di tono minore per le celebrazioni dell’armistizio della guerra di Corea, al contrario della Russia che ha spedito il ministro della Difesa Sergei Shoigu. Delegazione minore anche per le celebrazioni dell’anniversario della fondazione della Repubblica Popolare di Corea e primi contatti per riavviare il meccanismo trilaterale con Giappone e Corea del Sud proprio a cavallo del vertice tra Kim e Putin.
Ma è tutto da vedere che la Cina voglia o possa premere sulla Corea del Nord per abbassare le tensioni, proprio perché in cambio vorrebbe un rallentamento del rafforzamento dell’asse Seul-Tokyo-Washington. Nel summit con Biden, Xi ha chiesto di tenere in considerazione le “legittime preoccupazioni di sicurezza” della Corea del Nord, stessa formula utilizzata tante volte sulla Russia a proposito del conflitto in Ucraina.