Pechino ha lo strumento legale contro le sanzioni e le interferenze estere che mettono in pericolo la sovranità, la sicurezza e lo sviluppo della Cina, dove, però, il terreno potrebbe diventare sempre meno accogliente per le aziende straniere
Da Sabato 1 Luglio, giorno in cui si celebra il centoduesimo anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese (PCC), in Cina entra in vigore una nuova legge sulle relazioni estere. La norma ha esplicitamente l’obiettivo di proteggere gli interessi di Pechino, in materia di sicurezza nazionale e sviluppo, da un clima geopolitico sempre più teso e inospitale. Una delle principali minacce a cui si cerca di rispondere sono i crescenti controlli sulle esportazioni di tecnologie avanzate fatti e promossi dagli Stati Uniti.
Il Global Times, un tabloid megafono della propaganda cinese, definisce questa nuova misura una “pietra miliare”, fondamentale per colmare alcune lacune della legislazione cinese in materia di politica estera.
La legge va vista come un atto di continuità. Lo è rispetto ad altre norme varate negli ultimi anni per far fronte alle sanzioni statunitensi, come la legge Anti-Sanzioni del 2021, e rispetto all’approccio adottato recentemente dalle autorità cinesi verso le aziende straniere – dai sempre più frequenti raid alle aziende di consulenza straniere nel paese, fino al divieto di utilizzare i prodotti del chipmaker statunitense Micron per le infrastrutture critiche.
Leggere fra le righe
Se si leggono le singole disposizioni presenti nel testo – qui si può leggere la versione tradotta in inglese – queste sono nella maggior parte dei casi piuttosto vaghe. Se, però, si considerano nel loro insieme, allora emerge un quadro molto ampio e che conferma la svolta assertiva, se non combattiva, abbracciata da Pechino negli ultimi anni. Soprattutto, la legge segue la direzione generale impartita sotto la leadership di Xi Jinping, e resa ancora più esplicita dal ventesimo Congresso del Partito Comunista di ottobre: accentra tutti i poteri su Xi e il Partito. Nello specifico quindi, anche la gestione dei rapporti esteri viene rimandata alla guida del Partito Comunista e non al governo. Wang Yi, capo della diplomazia cinese, ha scritto in un suo recente editoriale che si tratta di “una misura importante per rafforzare la leadership centralizzata e unificata del Comitato Centrale del Partito Comunista sugli affari esteri”.
Nella legge viene dato molto spazio anche alla figura di Xi Jinping e alla sua ideologia. Nella prima parte del documento, dedicata alle disposizioni generali, il pensiero di Xi – che dal 2018 appare nel preambolo della Costituzione cinese – è menzionato insieme agli altri punti cardine dell’ideologia cinese come guida anche delle relazioni estere, affermando che “la Repubblica Popolare Cinese si attiene alle linee guida del marxismo-leninismo, nel pensiero di Mao Zedong, della teoria di Deng Xiaoping, della teoria delle tre rappresentanze, delle prospettive scientifiche di sviluppo e del pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”.
Invece, nella parte del documento dove si parla degli obiettivi viene fatta menzione delle due iniziative targate Xi: la Global Security Initiative e la Global Civilization Initiative. In entrambi i casi si tratta di documenti che riportano il pensiero Xi, descrivendo in maniera ampia e vaga l’approccio cinese a determinate questioni, come la sicurezza, la coesistenza tra civiltà diverse e la stabilità.
L’articolo 33, invece, affronta direttamente la questione delle sanzioni o delle interferenze estere, cercando di dare delle basi giuridiche per rispondere ora e scoraggiarle in futuro. Secondo il testo, la Cina è autorizzata ad adottare “misure per contrastare o adottare misure restrittive contro atti che mettono in pericolo la sua sovranità, la sua sicurezza nazionale e i suoi interessi di sviluppo”. Anche in questo caso, si resta sul generico in modo da lasciare ancora più spazio di azione al partito. Questi “atti” è probabile si riferiscano alle restrizioni delle esportazioni di semiconduttori imposte dagli Stati Uniti, dal Giappone o recentemente dall’Olanda. Inoltre, la nuova legge richiede a tutte le organizzazioni e agli individui di sostenere gli interessi cinesi negli scambi internazionali. Viene specificato esplicitamente che gli attori stranieri, individui o aziende,”non devono mettere in pericolo la sicurezza nazionale della Cina, danneggiare l’interesse pubblico della società o minare l’ordine pubblico della società.”
Un ambiente sempre più ostile per le aziende straniere
Da quando la Cina ha riaperto le porte al mondo, dopo due anni di dure restrizioni per il Covid, sia Xi Jinping che il premier Li Qiang hanno sempre cercato di rassicurare gli investitori stranieri e le aziende sul proseguire o iniziare un business in Cina. Anche nella legge in questione, si parla di una “apertura ad alto livello” e dell’intenzione di proteggere gli investimenti stranieri in entrata, nonché incoraggiare la cooperazione economica esterna.
Nella pratica però, sono sempre di più i timori che la Cina non sia più un ambiente accogliente per le aziende straniere. I concetti vaghi riportati in questa legge, uniti alla recente legge anti-spionaggio, contrastano fortemente con le parole della leadership cinese e anche con la volontà di attirare investimenti stranieri per far fronte ad un’economia che fatica a riprendersi. Le imprese straniere si ritrovano in un contesto legale e geopolitico sempre più incerto; il fatto che le leggi continuino ad avere formulazioni molto vaghe, accompagnate poi da azioni concrete contro la libertà, fa sì che le aziende straniere siano sempre più diffidenti. “La legge fornisce una maggiore base legale per le incursioni e le indagini sulle imprese straniere che sono già in corso” ha detto alla BBC Chong Ja-Ian, non-resident fellow presso il Carnegie China. Questi cambiamenti concreti di attitudine potrebbero spingere da un lato le aziende sul territorio cinese a conformarsi maggiormente agli interessi nazionali di Pechino ma, più probabilmente, a ripensare i propri investimenti sul territorio.
Da Sabato 1 Luglio, giorno in cui si celebra il centoduesimo anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese (PCC), in Cina entra in vigore una nuova legge sulle relazioni estere. La norma ha esplicitamente l’obiettivo di proteggere gli interessi di Pechino, in materia di sicurezza nazionale e sviluppo, da un clima geopolitico sempre più teso e inospitale. Una delle principali minacce a cui si cerca di rispondere sono i crescenti controlli sulle esportazioni di tecnologie avanzate fatti e promossi dagli Stati Uniti.