Un terremoto 7.6 con allerta tsunami e un attentato terroristico durante la celebrazione di una messa cattolica. Si teme l’inizio di un nuovo periodo di turbolenze nell’isola di Mindanao, regione con forte presenza musulmana e teatro di scontri armati con gruppi islamisti affiliati all’Isis.
Un tranquillo weekend di paura, quello appena vissuto dalle Filippine. Tra eventi naturali estremi, attentati terroristici e dispute territoriali, a Manila e dintorni le ultime 48 ore sono state un susseguirsi di emozioni. E soprattutto di problemi.
A partire da sabato mattina, quando un terremoto di magnitudo 7,6 ha colpito la parte orientale di Mindanao, grande isola nella parte meridionale dell’arcipelago filippino. Non una primizia, visto che il Paese si trova sul cosiddetto Anello di fuoco del Pacifico, un’area di grande attività sismica e vulcanica in cui si registrano ogni anno circa settemila terremoti. Ma quello di sabato ha avuto un’entità ben più grave degli eventi sismici consueti, tanto da portare le autorità filippine a emettere un allarme tsunami. A distanza di qualche ora, l’allarme è stato poi revocato, anche se sono arrivate onde oltre un metro al di sopra della marea.
Meno di 24 ore dopo, ancora Mindanao è stata oggetto delle cronache. Questa volta per un attentato terroristico, con un’esplosione durante una messa cattolica che ha ucciso almeno 4 persone ferendone circa 50. L’attacco è avvenuto a Marawi, capitale della provincia di Lanao del Sur. A essere colpita è stata una palestra dell’università di Mindanao, dove si stava svolgendo la messa della prima domenica di avvento. Sulla scena sono stati trovati frammenti di mortaio, mentre le ambulanze hanno continuato a lungo a trasportare i feriti in ospedale. Nessun dubbio che si tratti di un attentato. È subito partita la caccia all’uomo, con la polizia che ha imposto una serie di posti di blocco sulle strade e nei porti dell’isola di Mindanao.
Il presidente filippino Ferdinand Marcos Junior ha incolpato “terroristi stranieri”. Aggiungendo: “Gli estremisti che compiono violenze contro gli innocenti saranno sempre considerati nemici della nostra società. Porgo le mie più sentite condoglianze alle vittime”, ha sottolineato Marcos, assicurando di aver chiesto una maggiore sicurezza nella regione. “Siate certi che consegneremo alla giustizia gli autori di questo atto spietato”.
Anche il ministro degli Esteri Teodoro Locsin Junior ha confermato che “ci sono indizi che l’attacco sia stato condotto da elementi stranieri”, senza entrare nello specifico. Secondo il segretario alla Difesa Gilbert Teodoro, l’attentato ricorda nello stile l’attacco alla cattedrale di Nostra Signora del Monte Carmelo a Jolo, Sulu, nel gennaio 2019, che causò la morte di 23 persone.
Va sottolineato che l’attacco si inserisce in un contesto di alta tensione tra governo centrale e Mindanao, regione con una forte presenza musulmana. Da decenni sul territorio operano gruppi armati con velleità indipendentiste. Proprio nei giorni scorsi un’operazione miltiare ha portato all’uccisione del leader di un gruppo islamista affiliato all’Isis, il Daula Islamiyah. Lo stesso gruppo che nel 2017 si era impadronito di Marawi, cercando di farne un governatorato islamista. All’epoca si era combattuto per cinque mesi con un bilancio finale di oltre mille morti, tra cui anche un centinaio di civili.
A Manila c’è il timore che l’attacco di domenica possa segnare l’inizio di un nuovo periodo di turbolenze interne. L’ultima cosa necessaria a un paese già impegnato a far fronte a una pericolosa disputa territoriale con la Cina nel mar Cinese meridionale.
Una disputa che si sta inasprendo. Sempre domenica 3 dicembre, le autorità delle Filippine hanno dichiarato che oltre 135 navi della Milizia Marittima Cinese hanno “sciamato” nell’area di Julian Felipe Reef, a circa 175 miglia nautiche dalla costa di Bataraza, Palawan. Foto e video diffusi dalla Guardia costiera mostrano diversi gruppi di navi della Milizia Marittima Cinese ormeggiate l’una accanto all’altra. Si tratta di una mossa che gli analisti definiscono “rafting”, ovvero quando le navi si ancorano insieme per creare un avamposto galleggiante temporaneo in mare. È considerata una delle “tattiche della zona grigia”, ovvero delle azioni al di fuori di un conflitto armato che vengono però impiegate per mostrare assertività su una contesa territoriale.
L’arrivo di Ferdinand Marcos Junior ha cambiato tutto nei rapporti tra Filippine e Cina. Manila ha concesso libero accesso alle truppe americane in 4 sue ulteriori basi. Le esercitazioni congiunte di quest’anno sono state le più vaste di sempre, mentre sono state avviate trattative per sviluppare un porto civile nelle remote isole più settentrionali dell’arcipelago, quelle più vicine a Taiwan.
In risposta, Pechino ha aumentato la presenza nei pressi di Second Thomas, una minuscola secca all’interno dell’arcipelago delle Spratly, un centinaio di piccole isole rivendicate dalla Cina. È qui che si trova la Sierra Madre, una nave di fabbricazione statunitense impiegata durante le battaglie contro i giapponesi nel Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale. Rimasta alla deriva, è passata poi di mano alle Filippine.
Nel 1999, Manila ha deciso di arenare il vecchio relitto nei pressi della secca. I resti dell’imbarcazione sono utilizzati dalle Filippine come un avamposto, presidiato da una dozzina di militari, per rafforzare le proprie pretese di sovranità. Da allora, Pechino chiede a Manila di rimuovere il relitto in maniera più o meno diplomatica a seconda dello stato dei rapporti col governo filippino.
Il governo cinese non riconosce la validità del pronunciamento del tribunale dell’Aia, che nel 2016 si è espresso contro la sua rivendicazione di sovranità su circa il 90% del mar Cinese meridionale. E finora non si è mai riusciti a stipulare un agognato codice di condotta regionale su un quadrante fondamentale per il passaggio di enormi quantità di merci ma anche per le sue risorse naturali. Da agosto in avanti si sono succeduti alcuni incidenti, tra cannoni ad acqua e collisioni tra navi, fortunatamente senza gravi conseguenze. Ma una soluzione alla questione ancora non si intravede.
Un terremoto 7.6 con allerta tsunami e un attentato terroristico durante la celebrazione di una messa cattolica. Si teme l’inizio di un nuovo periodo di turbolenze nell’isola di Mindanao, regione con forte presenza musulmana e teatro di scontri armati con gruppi islamisti affiliati all’Isis.
Un tranquillo weekend di paura, quello appena vissuto dalle Filippine. Tra eventi naturali estremi, attentati terroristici e dispute territoriali, a Manila e dintorni le ultime 48 ore sono state un susseguirsi di emozioni. E soprattutto di problemi.