Vince la linea dura della Ministra Baerbock rispetto all’approccio soft del Cancelliere Scholz: le aziende sono invitate a ridurre la dipendenza verso la Cina. Una direzione diversa dal passato, più in linea con le richieste degli alleati occidentali
La prima Strategy on China della Germania non poteva che far rumore e diventare notizia vista l’esposizione dell’economia tedesca nei confronti della Cina. E così, dopo mesi di discussioni e lotte interne sull’orientamento che Berlino avrebbe dovuto assumere verso Pechino, si arriva a un documento onnicomprensivo che cambia totalmente l’approccio verso il gigante asiatico, del tutto necessario dall’invasione della Russia in Ucraina che ha letteralmente bruciato la pelle viva della Deutsche Wirtschaft e modificato inesorabilmente l’assetto internazionale.
Una scelta difficile
Il rapporto tra la Germania e la Cina è stato intenso e volano per la crescita dell’economia tedesca ma, al contempo, ha manifestato tutti i suoi rischi con un pericoloso parallelismo, ovvero il legame a doppio filo tra Berlino e Mosca. Le pesanti sanzioni imposte alla Russia, lo stop all’import di gas e petrolio dalla Federazione e il fallimento di Nord Stream 1 e 2 sono stati campanelli d’allarme fortissimi che, in prima battuta, il Cancelliere Olaf Sholz non ha voluto prendere in considerazione. Sperando, per giunta, in una mediazione del Presidente Xi Jinping per la fine della guerra nella nazione est europea.
Le tensioni interne al Governo
Non solo: nonostante le frizioni con la Ministra degli Esteri Annalena Baerbock, Scholz ha proseguito per la sua strada, riproponendo lo stesso paradigma: economy first. Un atteggiamento classico, ereditato da Angela Merkel — vedi dialogo con Vladimir Putin e Comprehensive Agreement on Investment — e i suoi predecessori che, nel nuovo mondo, nell’era post status quo, in una realtà globale che si sta riposizionando su nuovi livelli, non funziona più. L’instaurazione di accordi commerciali non comporta necessariamente la diffusione dei principi democratici.
Un fattore notato plasticamente nelle relazioni con la Russia, con le monarchie del Golfo, con la Cina. Che, anzi, dimostrano di poter ampiamente gestire le dinamiche dell’economia di mercato senza alcun problema, nonostante l’esistenza di regimi autoritari o persino totalitari. Da qui la decisione di adottare una policy del tutto nuova, in qualche modo innovativa, che avverte le aziende della Bundesrepublik sui rischi dell’esposizione con la Cina. In caso di sanzioni economiche, di tensioni sulle materie prime o su determinate componentistiche, di conflitto diretto — oramai in qualche modo sdoganato nelle previsioni — le perdite sarebbero inimmaginabili. Un po’ come quanto avvenuto col già citato caso studio del Nord Stream 1 e 2.
La Strategy on China
E così nella Strategy on China viene menzionato il cambiamento climatico e il bisogno di confronto con la Cina per trovare una soluzione al problema. Si parla di Indo-Pacifico e della ricerca di Pechino verso un’egemonia regionale che mette a rischio i principi del diritto internazionale. Si discute sulle implicazioni negative per la Germania dell’avvicinamento cinese alla Russia. E si parla esplicitamente della fiducia da riporre sulla “forza del nostro ordine liberal democratico e l’economia sociale di mercato”.
Nel documento pubblicato dal Ministero degli Esteri guidato da Baerbock si cita il rispetto per i diritti umani, per lo stato di diritto, per l’ordine internazionale. Con l’obiettivo di salvaguardare l’economia tedesca attraverso risposte reciproche per ridurre asimmetrie sia a livello Federale che Ue. “Fidarci della mano invisibile del mercato nei periodi positivi e usare il braccio forte dello Stato in tempo di crisi non funziona nel lungo periodo”, ha affermato la Ministra. “La Germania è cambiata e così dobbiamo modificare anche la nostra China Policy”.
Un cambio necessario
È davvero la fine di un’era, ovvero quella che ha visto a più riprese la Germania scendere a compromessi sui diritti umani pur di salvaguardare la propria stabilità economica? Il messaggio di Berlino, più o meno condiviso ma comunque esplicitato ufficialmente, sembra andare in tale direzione. Imponendo al Governo di prendere in considerazione la nuova realtà nella quale la Germania vive insieme ai partner Ue, transatlantici nella Nato e del Pacifico. Una wake-up call che scuote il sistema-Paese, che prende una direzione diversa dal passato, più in linea con le richieste degli alleati e che, probabilmente, rende la Repubblica tedesca meno protagonista rispetto al passato.