Per il secondo anno di fila l’Australia farà parte delle esercitazioni navali Malabar al largo delle Filippine insieme a Usa, Giappone e India, che collaborano per contenere la Cina nell’Asia-Pacifico
“La risposta a quasi tutte le domande sulla Cina è l’India”. Lo ha scritto a inizio mese sull’Australian Tony Abbott, che dell’Australia è stato Primo Ministro e attualmente è inviato speciale per il commercio del Governo di Scott Morrison.
Da giovedì e fino a domenica 29 agosto Canberra prenderà parte – è il secondo anno di fila, dopo l’invito di Nuova Delhi – all’edizione 2021 delle esercitazioni navali Malabar: si terranno nel mare delle Filippine, vedranno collaborare Stati Uniti, India, Giappone e Australia, e si focalizzeranno sull’interoperabilità tra le quattro marine militari. I partecipanti sono i membri del Quad, il forum informale sulla sicurezza che è al centro della strategia di Joe Biden per contenere la Cina nell’Asia-Pacifico. È presto ed è anche scorretto parlare di “Nato asiatica”, ma il Quad sta evolvendo in una piattaforma di cooperazione più ampia, che non si limita alle tematiche di difesa: si parla di vaccini e di standard tecnologici; al vertice del prossimo autunno si discuterà di infrastrutture; ad aprile i Governi australiano, giapponese e indiano hanno lanciato un’iniziativa per la resilienza delle filiere che piace agli americani.
Cosa vuole l’Australia dall’India
L’articolo di Abbott prima citato è una prova di come, dal punto di vista bilaterale, l’Australia voglia affiancare alla crescita dei legami militari con l’India un rafforzamento dei contatti politici ed economici, per rendere la relazione più matura. E per fare di Nuova Delhi la sostituta di Pechino.
Le cose tra l’Australia e la Cina vanno molto male – il punto di rottura c’è stato l’anno scorso, quando Canberra ha chiesto l’apertura di un’indagine sull’origine del coronavirus – e la guerra commerciale avviata da Pechino è un grosso danno alle esportazioni, dirette soprattutto verso il mercato cinese. Sull’Australian, allora, Abbott ha utilizzato il contesto internazionale (il tentativo americano di creare una “lega delle democrazie” anticinese) e locale (i timori di Nuova Delhi per l’ascesa di Pechino) per convincere l’India a firmare un trattato di libero scambio con l’Australia.
Abbott dice infatti che un accordo di questo tipo tra i due Paesi diventerebbe il simbolo dell’allontanamento “del mondo democratico dalla Cina”, perché i patti commerciali hanno a che vedere con la politica tanto quanto con l’economia. Scrive che “è nell’interesse di tutti che l’India prenda il prima possibile il suo posto legittimo tra le nazioni”, perché bisogna rispondere all’assertività di Pechino. Non menziona le tendenze autoritarie del Primo Ministro Narendra Modi, ma inserisce l’India nel “mondo libero” da contrapporre a una Cina che ha “sfruttato la benevolenza dell’Occidente” per rubare tecnologie e diventare “un concorrente molto più potente di quanto l’Unione sovietica sia mai stata”.
La retorica da Guerra fredda utilizzata da Abbott per la sua propaganda ha l’obiettivo di sciogliere le riserve di Nuova Delhi a concludere un accordo di libero scambio con Canberra. I negoziati tra i due governi per il Ceca, l’Accordo comprensivo di cooperazione economica, sono iniziati nel 2011 ma sono stati sospesi nel 2015, lo stesso anno in cui entrò in vigore il trattato di libero scambio tra Australia e Cina. Ma adesso che Canberra vuole distaccarsi da Pechino per diminuire la sua esposizione a una nazione rivale, vuole riattivare i colloqui con Nuova Delhi e concluderli.
Il piano è fare dell’India la destinazione dei carichi australiani di materie prime, dal carbone all’orzo – anche se il Paese non ha un mercato interno ricco quanto quello cinese –, e sviluppare partnership sull’estrazione e la lavorazione di terre rare. L’India resiste perché preoccupata per l’impatto delle esportazioni agricole australiane sulla produzione nazionale; chiede visti facilitati per i propri lavoratori in Australia, alla quale però la proposta non piace.
I rapporti tra Australia e India
Il corteggiamento dell’Australia ha dalla sua il quadro generale: in Asia-Pacifico le potenze regionali vogliono ridurre la vulnerabilità strategica dalla Cina e anche gli Stati Uniti vogliono che l’India assuma un peso economico maggiore così da farne un hub produttivo alternativo a Pechino.
Da parte di Nuova Delhi c’è agitazione per le ambizioni geopolitiche del vicino cinese. L’anno scorso l’India e l’Australia hanno deciso di portare la relazione bilaterale al livello di partnership strategica comprensiva e firmato tutta una serie di accordi sulla logistica militare. C’è stato l’invito, già ricordato, dell’India all’Australia a partecipare alle esercitazioni Malabar. Pochi giorni fa il Ministro indiano del Commercio ha mostrato interesse per un accordo early harvest con Canberra, in preparazione a quello di libero scambio.
Il contesto sembra favorevole all’Australia, che deve però tenere conto di due cose. La prima è la storica ritrosia dell’India ad abbandonare il principio di non-allineamento per far parte di un preciso sistema di alleanza. L’altra è la recente scelta del Paese di non aderire alla Rcep, l’accordo di libero scambio tra il gruppo Asean più Cina, Corea del sud, Giappone, Nuova Zelanda e Australia.
Per il secondo anno di fila l’Australia farà parte delle esercitazioni navali Malabar al largo delle Filippine insieme a Usa, Giappone e India, che collaborano per contenere la Cina nell’Asia-Pacifico