L’Ue intende rafforzare il suo focus strategico nell’Indo-Pacifico, ma non è ancora chiaro se sarà in grado di proiettare una potenza adeguata in Asia
Ieri il Consiglio dell’Unione europea ha approvato le conclusioni di un documento contenente la strategia per l’Indo-Pacifico di Bruxelles, mirata a “rafforzare il suo focus strategico, la presenza e le azioni in questa regione di primaria importanza strategica per gli interessi dell’Unione europea”. E non solo, in realtà: l’Indo-Pacifico è anche l’area più importante nella competizione fra gli Stati Uniti e la Cina, nonché “il centro geopolitico del mondo” secondo il Regno Unito.
L’importanza dell’Indo-Pacifico
“Indo-Pacifico” non è esattamente un’espressione neutra, perché viene utilizzata dagli americani per indicare una visione regionale in opposizione a quella di Pechino. La strategia dell’Unione europea – che verrà rilasciata nella sua versione completa il prossimo settembre – riprende in effetti alcune parole chiave ripetute spesso da Washington come “libertà di navigazione”, “stabilità”, “democrazia” e “diritto internazionale”. Ma Bruxelles è attenta a presentare il suo piano in un’ottica di cooperazione e non di confronto.
Il Presidente americano Joe Biden ha intenzione di creare una grande coalizione di Paesi alleati per il contenimento della Cina, una tattica che ha il suo perno in Asia ma che riguarda anche l’Europa. Né le nazioni europee né quelle asiatiche e pacifiche, però, vogliono sentirsi obbligate a scegliere tra Washington e Pechino.
L’Europa, in particolare, è alla ricerca di un’autonomia strategica che possa consentirle di elaborare una propria linea geopolitica meno dipendente da quella statunitense, specie per quanto riguarda l’approccio alla Cina: una potenza autoritaria in ascesa, ma anche una grande opportunità commerciale. A intendere la questione in tali termini sono soprattutto la Francia e la Germania.
Se vuole davvero essere un attore geopolitico, l’Europa ha necessità di una strategia per l’Indo-Pacifico. La Francia, la Germania e i Paesi Bassi – e pure il Regno Unito, con “Global Britain” – si sono già dotate di un programma. Il mese scorso l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri, Josep Borrell, aveva detto che era giunto il momento di una visione a livello comunitario.
Il nodo della presenza navale
Il documento di dieci pagine approvato ieri dal Consiglio non è esaustivo, ma permette comunque alcune riflessioni. Su Politico, ad esempio, Stuart Lau e Jacopo Barigazzi si sono interrogati sull’effettiva capacità (e volontà) europea di dispiegare una potenza marittima soddisfacente nelle acque della regione. Fino ad oggi è mancata; nel documento però si legge che i membri dell’Unione “riconoscono l’importanza di una significativa presenza navale europea nell’Indo-Pacifico”.
In assenza del Regno Unito e della sua flotta nucleare, e ad eccezione della Francia con i suoi territori d’oltremare, non è chiaro tuttavia se Bruxelles sarà complessivamente in grado di proiettare una potenza adeguata in Asia. Bisogna considerarne anche la tradizionale reticenza agli impegni all’estero. A questo proposito, il prossimo agosto la Germania, il motore maggiore dell’Unione, invierà una fregata nell’Oceano Pacifico: al suo ritorno, sarà la prima nave da guerra tedesca ad aver attraversato il Mar Cinese meridionale – una zona molto “calda” – dal 2002.
Per la difesa e la sicurezza marittima, piuttosto che focalizzarsi solo sulle proprie armate navali, l’Unione europea fa sapere che si dedicherà “allo sviluppo di partnership e al rafforzamento di sinergie con i partner affini e le organizzazioni rilevanti”. Ma evitando di sfociare in mosse troppo dure e percepibili come anti-cinesi, per non scontentare quegli stati membri che non vogliono mettere a rischio i rapporti commerciali con Pechino.
Benché nel documento si insista molto sui concetti di cooperazione e inclusività, è comunque probabile che la strategia europea risulterà sgradita alla Cina, visti i richiami alla libertà di navigazione e alla “universalità dei diritti umani”. Di questi ultimi Pechino dà un’interpretazione diversa.
Filiere e digitale
Oltre alla libertà di navigazione, nel documento l’Unione parla anche di come l’Indo-Pacifico sia utile al rafforzamento dell’economia europea, permettendo una diversificazione delle catene di approvvigionamento critiche (sanità e materie prime industriali).
Bruxelles vede inoltre delle opportunità nella digitalizzazione del Sud-est asiatico, un’area molto importante per Pechino – il blocco Asean è il suo primo socio commerciale –, dove le aziende tecnologiche cinesi stanno investendo per cavalcare il fenomeno.
L’Ue intende rafforzare il suo focus strategico nell’Indo-Pacifico, ma non è ancora chiaro se sarà in grado di proiettare una potenza adeguata in Asia
Ieri il Consiglio dell’Unione europea ha approvato le conclusioni di un documento contenente la strategia per l’Indo-Pacifico di Bruxelles, mirata a “rafforzare il suo focus strategico, la presenza e le azioni in questa regione di primaria importanza strategica per gli interessi dell’Unione europea”. E non solo, in realtà: l’Indo-Pacifico è anche l’area più importante nella competizione fra gli Stati Uniti e la Cina, nonché “il centro geopolitico del mondo” secondo il Regno Unito.
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