Governo liberale contro Governo nazionalista: rivalità politica ma soprattutto l’incapacità di gestire la questione concreta dei flussi migratori, gli impegni comuni, la solidarietà fra Stati, la sfida europea
Si potrebbe definire il gioco delle M.
M, innanzi tutto, come malintesi, poichè, fra Francia e Italia, le parole e l’attribuzione del loro significato politico variano a seconda delle circostanze e degli umori delle rispettive opinioni pubbliche. M, come Macron e Meloni, ovvero i protagonisti delle polemiche, interessati a corrente alternata a spegnerle o a rinfocolarle, secondo necessità di rassicurare elettori e proprie famiglie politiche. M, come Mattarella, costretto, suo malgrado, a metterci ogni volta una pezza, facendo valere il proprio carisma, i rapporti solidi e cordialissimi con Macron e con l’opinione pubblica francese. E mettiamoci anche M come Mussolini, il fantasma della Storia che aleggia fuori posto, ma che si rivela il perfetto alibi per quanti, a ragione o a sproposito, sono interessati a gettare ombre strumentali sul governo di Giorgia Meloni, la quale potrà essere anche a giusto titolo criticata per certi scivoloni ideologici e culturali del suo cerchio magico (il Presidente del Senato, La Russa, in testa alla classifica), ma non può essere accusata di non avere fatto sforzi e conti con il passato e con la Storia.
M, come migranti o migrazioni
In questo gioco, l’unica M che dovrebbe avere un significato concreto e condiviso sarebbe M come migranti o migrazioni, ma questa M sfugge alla logica, si perde nel battibecco politico, resta funzionale soltanto a interessi di parte e di bottega, non diventa mai fino in fondo il titolo del fondamentale capitolo degli impegni comuni, della solidarietà fra Stati, della sfida europea, della coscienza collettiva. Battibecco politico che rischia inevitabilmente di ampliarsi nell’imminente campagna per le elezioni europee, nonostante i propositi di tregua.
Eppure la materia del contendere, il problema dei flussi migratori, dell’accoglienza e del controllo delle frontiere, sarebbe semplicissima da comprendere e dovrebbe essere al riparo dalle polemiche, pur considerando l’oggettiva complessità del fenomeno e delle soluzioni possibili. Si tratta di affrontare, nell’immediato, l’emergenza degli sbarchi, nel breve periodo, il ricollocamento e il riconoscimento o meno di diritti di accoglienza e soggiorno, e infine nel medio termine, la questione delle frontiere continentali e della responsabilità dell’Europa nei confronti dei Paesi di provenienza.
Sotto questo profilo, come si dice, il Re è nudo, ma come talvolta avviene, l’evidenza e la buona volontà non sono categorie della politica. Così, strumentalità e pregiudizio finiscono per prevalere. In realtà, Macron e Meloni giocano a carte scoperte, ma dietro le quinte si muovono altri attori, peraltro non di secondo piano, interessati appunto a rinfocolare polemiche e riattizzare il fuoco che la narrazione ufficiale tende invece a spegnere.
Emblematica, in proposito, l’intervista al Corriere della Sera della ministra degli Esteri, Catherine Colonna, vecchia amica dell’Italia (è stata ambasciatrice a Roma), ovviamente mossa da sinceri intenti di riconciliazione. Ha glissato sui giudizi sprezzanti espressi dal ministro degli Interni, Gerard Darmanin, sulla gestione dei migranti da parte italiana, e ha ribadito : “La Francia ha una sola linea: l’Italia è un Paese amico, al quale ci legano molte cose, tra cui l’affetto reciproco. E quando ci sono questioni delicate, dobbiamo parlarne apertamente e amichevolmente. Le due cose vanno di pari passo e tutti i membri del governo francese, ognuno con le proprie parole, sanno che affronteremo meglio qualsiasi difficoltà con una maggiore cooperazione franco-italiana, a partire dalla questione migratoria (….) Oggi la maggior parte della pressione migratoria proviene dalla Tunisia piuttosto che dalla Libia. Dobbiamo aumentare la nostra cooperazione con la Tunisia attraverso il canale europeo, ovviamente, e anche attraverso i reciproci rapporti bilaterali con la Tunisia, che abbiamo interesse a coordinare bene (…) Abbiamo bisogno di rafforzare la lotta ai traffici irregolari di esseri umani alle frontiere tra Francia e Italia e di una riforma del sistema di Dublino, oltre a migliorare il database delle impronte digitali Eurodac e le procedure di richiesta di asilo nei Paesi di primo ingresso. È un tema eterno, ma voglio essere positiva perché abbiamo fatto progressi. (…). Non ci sono soluzioni nazionali. La soluzione sta nella cooperazione tra noi”.
La Francia e Giorgia Meloni
Parole che hanno fatto ripensare alla sincera cordialità del primo incontro, nell’ottobre scorso, fra il Presidente Macron e Giorgia Meloni appena insediatasi a Palazzo Chigi. Eppure, già allora, si poteva cogliere un messaggio sotterraneo, allorché diversi esponenti della sinistra francese avevano pesantemente criticato proprio i toni cordiali di quell’incontro. Il Presidente del gruppo socialista all’Assemblea nazionale, Boris Vallaud, disse : “Non dobbiamo essere ingenui o compiacenti con (…) un governo di estrema destra, con un Primo Ministro che proviene da una famiglia politica che ammira Mussolini”. E Sandrine Rousseau, europarlamentare di Europe Ecologie-Les Verts (EELV), criticò “l’incredibile compiacenza nei confronti del fascismo e dell’estrema destra”. L’eurodeputato dei Verdi Benjamin Lucas ha addirittura paragonato l’incontro alla stretta di mano tra Philippe Pétain e Adolf Hitler.
“Come europei, come Paesi vicini, come popoli amici, con l’Italia dobbiamo continuare tutto il lavoro che abbiamo iniziato. Le relazioni tra Italia e Francia sono più importanti di quelle dei loro leader”, è stato il commento ufficiale dell’Eliseo.
Il contesto politico francese
Occorre tenere presente il contesto. Nei mesi scorsi – la questione è tutt’altro che risolta – il Presidente Macron era alle prese con la riforma delle pensioni, provvedimento contestato sia dall’estrema destra di Marine Le Pen, sia dall’estrema sinistra di Jean Luc Mélenchon. Ecco altre due M che hanno dato filo da torcere al Presidente, peraltro privo di una maggioranza all’Assemblea Nazionale e quindi costretto a far passare la riforma senza il voto parlamentare.
Questo contesto politico spiega i messaggi trasversali di personalità vicine a Macron contro la destra italiana. Un modo per recuperare consenso a sinistra e rintuzzare gli attacchi dell’estrema destra della Le Pen e le critiche dei Repubblicani/gollisti sulla questione dei migranti. In soldoni, le responsabilità della situazione non sono del governo francese, ma degli italiani incapaci di gestirla. Messaggi trasversali, ad uso e consumo dell’opinione pubblica francese, che tuttavia, paradossalmente, non dispiacciono al governo italiano perchè consentono di organizzare la difesa d’ufficio, non senza argomenti a favore: l’Italia è in prima linea, nessuno in Europa ci aiuta, la Francia pensi a risolvere i problemi e non accusi l’Italia di incapacità. Tanto più – altro argomento a favore – che la Francia, alle sue frontiere, non può certo vantare un modello di accoglienza in guanti bianchi.
Per non parlare di quanto accade in territori francesi fuori dai radar, come ad esempio sull’isola di Mayotte. A maggio, in meno di 24 ore, è stata rasa al suolo la baraccopoli di Talus 2 a Mayotte. Una dozzina di scavatori e camion con a bordo agenti di polizia hanno demolito decine di abitazioni di fortuna della zona. Secondo quanto riferito, le autorità intendono espellere tra i 10.000 e i 20.000 immigrati privi di documenti (Mayotte ha una popolazione di 310.000 abitanti, metà dei quali si ritiene siano stranieri) e distruggere 10.000 bangas, o squallide baracche, nelle baraccopoli dove vive il 40% degli abitanti dell’isola. Gli immigrati saranno rimandati alle Comore, nelle tre isole dell’arcipelago, da cui provengono senza documenti. Per i cittadini dell’isola si tratta di un’intensificazione della “caccia agli immigrati irregolari” che va avanti da decenni.
Ma il Presidente Macron deve anche rintuzzare le critiche dei Républicains, i quali da tempo sembrano affetti da strabismo politico. Da un lato incalzano Macron sulla questione migranti, con l’obiettivo di recuperare l’elettorato moderato sempre più sedotto da Marine Le Pen. Dall’altro sono tentati di fare da ruota di scorta del governo per differenziarsi dall’estrema destra e non correre il rischio di scomparire. Il partito ha presentato una propria proposta di legge e il ministro degli Interni, Darmanin, si è detto disposto a discutere alcune delle misure proposte, fra cui tuttavia spicca un’irricevibile revisione della Costituzione. Il “capitano” Éric Ciotti è determinato a indicare la rotta del suo partito e a condurlo fuori dalle acque agitate. Ciò richiederà una “cooperazione intransigente” con l’esecutivo. “Senza di noi non si può fare nulla, con noi tutto è aperto”, ha detto l’ex ministro degli Interni Brice Hortefeux, vicino a Sarkozy. L’obiettivo è incalzare il governo, dimostrare, come ha scritto Le Figarò, che “continuare a ripetere che l’immigrazione è un’opportunità per la Francia quando la realtà mette a nudo i fallimenti quotidiani dell’integrazione è una menzogna colpevole”.
Ma la questione migranti agita anche la compagine “macronista”. Uno degli uomini più determinanti, il ministro dell’Economia Bruno Le Maire, sollecita Macron a un’azione più ferma e determinata. E anche questo pungolo spiega il poco elegante scaricabarile sull’Italia “inadeguata”. “I nostri connazionali si aspettano fermezza, fermezza e fermezza”, ha detto il numero due di un governo che non trova la quadratura del cerchio sui propositi di regolarizzazione/espulsione. “Fermezza – dice ancora Le Maire – significa: un immigrato clandestino deve andarsene, un immigrato deve parlare francese se vuole venire in Francia. Non facciamoci accusare di essere lassisti o angelici. Siamo fermi, senza parole eccessive, senza populismo, senza essere contrari alla nostra identità”.
Differenze fra le sensibilità di destra
Per chiarezza, allo stato attuale e al di là della polemica politica, le differenze fra le sensibilità di destra, in Francia e in Italia, non sono di poco conto e le rispettive situazioni interne (oltre alla diversa collocazione, all’opposizione e al governo) vanno tenute presente. Marine Le Pen, candidata sconfitta nella battaglia per l’Eliseo, ha ottenuto uno storico successo alle legislative. Anche questa erede di un partito xenofobo, anti europeo, con al suo interno simpatizzanti neofascisti e antisemiti, ha fatto molta pulizia morale e un po’ di correzioni di rotta, ma resta molto critica verso Bruxelles. Il suo messaggio, che ha prodotto valanghe di voti nella Francia popolare e un tempo di sinistra, è quello della solidarietà sociale minacciata dalla globalizzazione, dalla tecnocrazia, dalla criminalità e ovviamente dalle orde di stranieri.
C’è contiguità con Giorgia Meloni? Fino a un certo punto. Fratelli d’Italia ottenne meno del 4% alle elezioni europee del 2014. Otto anni dopo, Giorgia Meloni guida il primo partito italiano ed è primo ministro. Nel 2017 sostenne la campagna elettorale della Le Pen, nel 2022 non si è schierata. Marine Le Pen in più occasioni è sembrata più vicina al leader della Lega, Matteo Salvini. Come ha scritto Le Monde, sarebbe il rapporto di fedeltà e amicizia con Matteo Salvini a giustificare l’assenza di rapporti con Fratelli d’Italia. “La conosco da molto tempo, ma non ho più contatti politici con lei (….). Il nostro alleato storico è la Lega, ma questo non significa che un domani non potremmo lavorare insieme”, ha detto Marine Le Pen.
C’è infine un’abissale differenza fra la vicinanza mostrata, ancora recentemente, tra il Cremlino e la Le Pen, e il risoluto atlantismo di Giorgia Meloni.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di Luglio/Settembre di eastwest
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Si potrebbe definire il gioco delle M.
M, innanzi tutto, come malintesi, poichè, fra Francia e Italia, le parole e l’attribuzione del loro significato politico variano a seconda delle circostanze e degli umori delle rispettive opinioni pubbliche. M, come Macron e Meloni, ovvero i protagonisti delle polemiche, interessati a corrente alternata a spegnerle o a rinfocolarle, secondo necessità di rassicurare elettori e proprie famiglie politiche. M, come Mattarella, costretto, suo malgrado, a metterci ogni volta una pezza, facendo valere il proprio carisma, i rapporti solidi e cordialissimi con Macron e con l’opinione pubblica francese. E mettiamoci anche M come Mussolini, il fantasma della Storia che aleggia fuori posto, ma che si rivela il perfetto alibi per quanti, a ragione o a sproposito, sono interessati a gettare ombre strumentali sul governo di Giorgia Meloni, la quale potrà essere anche a giusto titolo criticata per certi scivoloni ideologici e culturali del suo cerchio magico (il Presidente del Senato, La Russa, in testa alla classifica), ma non può essere accusata di non avere fatto sforzi e conti con il passato e con la Storia.