Gli Houthi dello Yemen e la strategia del loro ingresso nella guerra tra Israele e Hamas. Il blocco del Mar Rosso e del Canale di Suez, causato dagli attacchi alle navi mercantili, ha provocato un aumento dei prezzi delle materie prime, di gas e carburante, e rischia di allargare sempre più i confini del conflitto.
La guerra a Gaza non è rimasta limitata solo alla Striscia. Grazie agli appoggi di Hamas con altri gruppi legati all’Iran, i cosiddetti ”proxy” degli Ayatollah, Israele si è trovato a fronteggiare minacce da più parti.
Fino ad adesso la più importante era rappresentata da Hezbollah, il partito di Dio, che dal Libano è sempre stata una spina nel fianco di Israele. Lanci di razzi dal sud del paese dei cedri, ma anche dalla Siria, hanno spinto l’esercito del paese ebraico a rispondere pesantemente.
L’Israeli Defence Force già prima effettuava raid contro basi di Hezbollah o comunque di gruppi legati a Teheran, in Siria. Come erano e sono continui i raid in Cisgiordania contro i due altri proxy di Teheran nell’area, Hamas e il Jihad Islamico Palestinese (Pij). Contro questi, l’esercito israeliano continua a combattere soprattutto a Jenin e Nablus, ma anche contro i loro gruppi associati, tutti legati al regime degli ayatollah: dal Saraya al Quds e al Battaglione Jenin; dalle Brigate Balata alla Brigata Nablus, dalla Brigata Yabad all’ultima temuta, la Fossa dei Leoni.
Un panorama del terrore che il governo israeliano è deciso ad annientare a tutti costi. Importa poco se anche minorenni sono ad imbracciare i fucili per difendere le loro case, se i proiettili e colpi sparati durante le battaglie uccidono civili di ogni età e sesso. Le operazioni che l’esercito porta avanti quasi quotidianamente e gli scontri anche cruenti e feroci con i locali, mostrano l’interesse israeliano a chiudere il capitolo, ma anche l’accresciuta potenza militare dei gruppi palestinesi che, non solo Hamas, secondo gli analisti, sono foraggiati e istruiti dall’Iran.
Non a caso, spesso i vertici di Hamas e Pij sono a Teheran o esponenti iraniani ne incontrano i capi in Siria o Libano. Alle armi “Carlo”, le pistole mitragliatrici artigianali autocostruite in molti luoghi della Cisgiordania, ampiamente diffuse, si sono aggiunti i fucili d’assalto M-4, M-16, CAR-15. Non sono pochi quelli che possiedono pistole, come M18 e P-320. Armi che arrivano dall’Iran attraverso Siria, Libano e, soprattutto Giordania, portate smontate per poi essere assemblate nei piccoli negozi delle cittadine palestinesi e stipate soprattutto nei sottoscala e depositi sotterranei del centro delle città di Nablus e Jenin.
L’ultima minaccia è rappresentata dall’altro gruppo legato all’Iran, gli Houthi dello Yemen. Da quando è scoppiata la guerra a Gaza, questi dapprima hanno lanciato colpi contro Eilat (la città costiera israeliana sul Mar Rosso), intercettati sia da Israele che dalle navi da guerra americane, poi si sono lanciati verso attacchi contro le navi mercantili che attraversano la zona.
Avevano minacciato di colpire tutte le imbarcazioni di proprietà israeliane, o legate al paese ebraico o dirette verso esso. Una decina quelle colpite. Quattro delle cinque principali compagnie di navigazione del mondo – Maersk, Hapag-Lloyd, CMA CGM Group ed Evergreen – hanno annunciato che sospenderanno la navigazione attraverso il Mar Rosso nel timore di attacchi Houthi. Il colosso petrolifero BP ha dichiarato che avrebbe fatto lo stesso, una mossa che ha causato un’impennata dei prezzi del petrolio e del gas.
Il gruppo prende di mira soprattutto quelle imbarcazioni che, dirette verso il canale di Suez, passano dinanzi alle coste yemenite, passando per lo stretto di Bab-el-Mandeb. Una situazione che ha spinto diversi paesi a formare una coalizione marittima contro il gruppo yemenita, il cui intervento, rischia di allargare sempre più i confini del conflitto.
Ma chi sono gli Houthi?
Il gruppo Ansarallah, i sostenitori di dio, sono nati negli anni ‘90 da Huseein al-Houthi, che diede vita ad un movimento religioso sciita contro il governo sunnita yemenita. Dopo che per un decennio almeno erano stati tollerati dal neonato governo dell’unificato Yemen, le due fazioni si spaccarono dopo l’appoggio governativo all’invasione americana dell’Iraq.
Nel 2004 al Houthi venne ucciso dalle forze governative, ma non finì il suo movimento che crebbe lentamente, aiutato dall’Iran anche in chiave anti-saudita. Con la primavera araba, il presidente Yemenita Saleh fu deposto anche perché gli Houthi avevano preso il controllo del nord e, dopo qualche anno, di zone della capitale Sanaa.
A difesa del governo è intervenuta nel 2015 l’Arabia Saudita in quella che doveva essere una guerra lampo e che si è protratta per sette anni, in quella che l’Onu ha definito la peggiore crisi umanitaria al mondo, con oltre 250 mila vittime. Da allora, gli Houthi controllano la capitale yemenita, oltre a tutto il nord, continuando ad essere foraggiati dall’Iran che ne ha accresciuto anche le capacità belliche.
La loro discesa in campo contro Israele sta creando non pochi problemi, perché la preoccupazione è che si tirino dietro anche Teheran, che per ora gioca con i propri proxy da lontano. Ma l’impatto del gruppo yemenita nel conflitto è notevole, sia per le capacità belliche, sia perché ha provocato un aumento dei prezzi del trasporto delle materie prime, soprattutto gas e carburanti, che passano per la zona, aumentando quindi i prezzi al consumatore. Le navi, infatti, per evitare di passare per le coste yemenite, devono circumnavigare il continente africano, spendendo di più. Anche il porto israeliano di Ashdod ha visto una notevole riduzione del suo volume di traffico.