Dopo tredici mesi dalle dimissioni di Hassan Diab e a più di un anno dall’esplosione al porto di Beirut nasce il nuovo esecutivo. L’incarico sarà complicatissimo
Dopo 13 mesi dalle dimissioni di Hassan Diab, ecco un nuovo Governo per il Libano, tra le macerie del porto di Beirut e quelle sociali, con 3/4 della popolazione, secondo le Nazioni Unite, in stato di povertà. L’incarico assegnato al Primo Ministro Najib Mikati — designato lo scorso luglio — sarà complicatissimo, dovendo gestire una Banca centrale al collasso, un’economia ridotta ai minimi termini, la rabbia dei cittadini esausti dalla trasversale incapacità politica e, per ultimo ma non meno importante, la tensione tra i player regionali — Israele e Iran su tutti.
Il nuovo esecutivo
L’esecutivo Mikati sarà formato da 24 Ministri di varia espressione: dai sunniti agli sciiti, dai greco-ortodossi e i cattolici ai maroniti, passando per drusi e armeni. Un nuovo lampante esempio del sistema settario libanese, concausa del disastro rappresentato oggi plasticamente nelle condizioni della nazione, che trova nei vertici la massima espressione. Alla formazione governativa partecipano partiti conservatori e di sinistra, indipendenti e confessionali, un fragile e delicato tentativo finalizzato a dare speranza al popolo e per cambiare il difficile stato dell’arte.
Come detto dal Primo Ministro appena incaricato, “siamo un team al servizio di tutti i libanesi, e lavoreremo con questo spirito”. Mikati è arrivato nella mattina di ieri al Grand Serail, sede governativa, ricevuto dal segretario generale del Consiglio dei Ministri, il giudice Mahmoud Makkieh. Poco dopo, i primi impegni ufficiali, con il comitato ministeriale al quale hanno partecipato una parte dei Ministri del Governo. Riprendere il dialogo interrotto a gennaio 2020 col Fondo monetario internazionale, per finanziare una linea di credito, sarà uno dei primi obiettivi del Primo Ministro, ricco uomo d’affari con legami nel mondo della finanza.
Una figura, quella di Mikati, che punta ad annullare le divisioni politiche, ma che non potrà fare a meno di confrontarsi con la geopolitica dell’area. Il partito sciita Hezbollah, vicino all’Iran, è inviso dal confinate Israele e potrebbe risultare un problema per i Paesi arabi — vedi l’Arabia Saudita — interessati ad aiutare Beirut in questa fase. D’altro canto, Hezbollah è un alleato del partito dello stesso Presidente Michel Aoun, il Free Patriotic Movement, e risulta decisivo per la stabilità del Paese.
I problemi energetici
Intanto, la questione del riferimento di gas e petrolio sembra essersi sbloccata: arrivati a un punto di non ritorno, con gli ospedali senza energia per poter rimanere in funzione, i libanesi hanno chiesto aiuto ricevendo l’immediato supporto di Teheran, che ha inviato navi cariche di gasolio, ora in Siria. L’annuncio dell’acquisto del carburante dall’Iran, dato dal leader di Hezbollah Hassan Nasr Allah, ha stimolato l’intervento degli Stati Uniti tramite l’Ambasciatrice Dorothy Shea, che ha chiamato il Presidente Aoun per rassicurarlo sull’arrivo di aiuti.
Alla fine, nei giorni scorsi Egitto e Giordania hanno riaperto al passaggio di gas naturale verso il Libano, tramite la Siria, attraverso l’Arab Gas Pipeline. La grande paura è che i libanesi trascorrano un inverno senza la possibilità di riscaldare le proprie abitazioni ma, come spiegato dal Ministro dell’Energia uscente Raymond Ghajar, si lavora con la Banca mondiale per garantire i pagamenti ai produttori. Al nuovo Governo il compito di assicurare che questo avvenga, per ridare dignità a una popolazione intera.
Dopo tredici mesi dalle dimissioni di Hassan Diab e a più di un anno dall’esplosione al porto di Beirut nasce il nuovo esecutivo. L’incarico sarà complicatissimo