È la prima volta che un tribunale europeo si pronuncia su un caso antitrust contro Google. La sentenza arriva all’indomani dell’inizio del tour europeo della whistleblower di Facebook Frances Haugen
La questione enorme delle regole per Big Tech, un settore economico relativamente nuovo e divenuto centrale per l’economia e la vita di ciascuno di noi, comincia a entrare nel vivo. L’ultima notizia è relativa alla battaglia legale persa da Google nell’appello contro la multa comminata dalla Commissione europea secondo cui il colosso di Mountain View ha abusato della sua posizione dominante favorendo il proprio servizio di acquisti comparativi, rispetto ai concorrenti.
Il Tribunale conferma quindi l’ammenda di 2,42 miliardi di euro inflitta a Google nel 2017. Il ricorso era stato presentato sia da Google sia dalla controllante Alphabet e la sentenza della Corte di Lussemburgo verrà con ogni probabilità portata in appello.
Si tratta di una vittoria per la Commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager: è la prima volta che un tribunale europeo si pronuncia su un caso antitrust contro Google. Quel caso è uno tra i tanti nei quali i colossi del Web (e in parte anche dell’hardware che usiamo per navigarla) utilizzano il fatto di essere contemporaneamente il negozio e fornitori di merci che nel negozio si vendono per far scomparire o indebolire la concorrenza. Alphabet ha anche fatto appello contro altre due multe miliardarie comminate per aver abusato della propria posizione nel mercato della pubblicità online e in quello delle app per il proprio sistema operativo (Android).
Il tour europeo di Frances Haugen
Un giorno prima della sentenza era stata la volta del tour europeo di Frances Haugen, che ha sostanzialmente ripetuto quel che aveva già detto al Congresso. La differenza fondamentale è che il Parlamento europeo e la Commissione sono già alle prese con un’ipotesi di regolamento (come anche la Gran Bretagna dove Haugen è stata prima di Bruxelles).
Haugen non ha solo ricordato una serie di cattive pratiche e il disinteresse di Meta, il nuovo nome del gruppo padrone di Facebook, Instagram e WhatsApp, per i rischi che comportano (comportamenti degli adolescenti, diffusione del discorso d’odio e via dicendo). La ex dipendente divenuta whistleblower ha segnalato una volta di più un aspetto importante: occorre che le informazioni che la compagnia diffonde per motivare e difendere le proprie scelte o spiegare di essere cambiata siano certe. In sostanza non possiamo fidarci di Facebook quando dice: “La cosa di cui ci accusate non la facciamo più, ecco i dati”. Secondo Haugen, nelle regole immaginate per la rete occorre anche prevedere la necessità di poter andare e verificare le fonti. “Come quando le industrie del tabacco spiegarono che le sigarette con il filtro non facevano male, gli scienziati ebbero la possibilità di sostenere il contrario”, ha detto. In questo caso, appunto, i dati che abbiamo non stanno in una radiografia dei polmoni, ma nei server della stessa compagnia.
Da più di un anno l’Ue ragiona attorno alla proposta di Digital Services Act (DSA) che dovrebbe cambiare le regole dell’e-commerce, ampliando i requisiti per definire aree di responsabilità aggiuntive intorno ai contenuti (la gestione dei contenuti illegali, i prodotti pericolosi venduti da terzi, ad esempio).
Tra gli emendamenti in considerazione c’è anche l’ipotesi di vietare il microtargeting per la pubblicità, ovvero l’impossibilità di usare i comportamenti online degli individui per proporre loro prodotti commerciali o politici.
La discussione è in una fase avanzata, con alcuni Paesi tra cui Francia e Germania che hanno in mente di consentire anche ai singoli Stati di poter multare le piattaforme o costringerle a rimuovere eventuali contenuti illegali, mentre allo stato attuale solo i Paesi dove le aziende tecnologiche hanno il loro quartier generale possono far rispettare le leggi europee. Haugen ha elogiato l’ipotesi di regolamento sostenendo che potrebbe diventare la matrice da imitare altrove. La Francia, che a luglio assumerà la presidenza del Consiglio dell’Unione, è molto impegnata per portare a casa un risultato.
È la prima volta che un tribunale europeo si pronuncia su un caso antitrust contro Google. La sentenza arriva all’indomani dell’inizio del tour europeo della whistleblower di Facebook Frances Haugen