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Nancy Pelosi a Taiwan, un messaggio alla Cina?


La visita della speaker della Camera degli Stati Uniti arriva in un momento estremamente delicato per l’ordine internazionale e rischia di aumentare l'instabilità. La Cina si è già detta pronta a reagire nel caso la visita dovesse concretizzarsi

Il futuro di Taiwan è uno dei grandi punti interrogativi del nostro secolo. Se da un lato potrebbe rimanere una questione latente, come del resto è successo negli ultimi cinquant’anni, il conflitto in Ucraina ci ha dimostrato che oggi l’ordine internazionale è, forse, più fragile di quello che pensiamo. Alla base dell’instabilità politica intorno alla questione di Taiwan ci sono principalmente due fattori: l’ascesa della Cina e la “discesa” degli Stati Uniti. La teoria della stabilità egemonica, elaborata dal politologo americano Robert Keohane, aveva postulato la necessità di una potenza egemone per sfuggire all’anarchia che, altrimenti, caratterizza le relazioni internazionali. Il XXI secolo ha visto la diminuzione graduale del potere relativo degli Stati Uniti. Si parla di potere relativo per indicare il fatto che non sono tanto gli Usa a essere diventati più deboli quanto la Cina a essere diventata più forte. La conseguenza di una distribuzione più equa del potere tra le grandi potenze globali è una maggiore instabilità, in cui nessuno può mostrarsi debole.

La Cina, successivamente alla morte dello storico leader Mao Zedong, aveva abbracciato sotto la leadership di Deng, e poi successivamente, una politica estera volta a creare un ambiente internazionale favorevole allo sviluppo economico cinese. Gli elementi chiave di questo approccio erano evitare conflitti, soprattutto con gli Stati Uniti, in modo da concentrare tutte le energie sullo sviluppo economico. Questo approccio era stato etichettato come “peaceful rise”, ovvero “ascesa pacifica” in modo da mitigare la sinofobia occidentale.

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