La famiglia di George Floyd ascolta i relatori al Lincoln Memorial durante la marcia "Get Your Knee Off Our Necks" a sostegno della giustizia razziale, a Washington, Stati Uniti, 28 agosto 2020. Michael M. Santiago/Pool via REUTERS
La rappresentanza politica degli afroamericani e dei latinos è essenziale per curare una democrazia ferita. La prova più difficile dell’era Biden
La famiglia di George Floyd ascolta i relatori al Lincoln Memorial durante la marcia “Get Your Knee Off Our Necks” a sostegno della giustizia razziale, a Washington, Stati Uniti, 28 agosto 2020. Michael M. Santiago/Pool via REUTERS
Le elezioni presidenziali del 2020 hanno mostrato delle tensioni latenti nella società americana, preannunciate da un crescente malessere politico già presente prima della presidenza Trumped esploso proprio con l’arrivo del tycoon alla Casa Bianca. Si tratta di vere e proprie scosse alla stabilità politica della democrazia degli Stati Uniti che hanno raggiunto l’apice nei giorni dello scrutinio più lungo della storia americana e che probabilmente continueranno anche dopo l’insediamento del nuovo Presidente il prossimo 20 gennaio.
Le istituzioni sono state messe a dura prova dalle scelte più divisive volute dal presidente Trump, come ad esempio quella di abandonare gli accordi di Parigi sul clima o la nomina di Amy Coney Barrett quale giuidice della Corte Suprema pochi giorni prima delle elezioni. La società invece è stata travolta dalla pandemia, dalle sue conseguenze economiche e soprattutto dalle tragiche vicende di violenza razziale che hanno trovato un drammatico simbolo nelle immagini dell’omicidio di George Floyd e nelle parole che ha pronunciato in punto di morte “I can’t breath”. Si tratta di problematiche che hanno condizionato l’esito del voto e che portano con sé dei rischi differenti.
La violenza razziale
Nel primo caso, nonostante le scelte del Presidente Trump potranno avere degli effetti di lungo periodo, le istituzioni continueranno a essere ancorate a principi e limiti costituzionali che salvaguardano il funzionamento della democrazia americana. In altre parole, la “macchina” disegnata dai padri fondatori tornerà ai suoi equilibri. Nel secondo caso, invece, è riemersa una ferita mai completamente guarita nella storia degli Usa, quella della mancata eguaglianza tra le componenti della società americana e in particolare tra bianchi e afroamericani. Tuttavia, a differenza delle precedenti fasi in cui la violenza razziale ha attraversato l’America, questa volta la discriminazione sofferta dagli afroamericani si colloca in un cambiamento demografico e politico che non ha eguali nella storia.
Proviamo a capire quale peso hanno avuto gli episodi di violenza razziale sul voto e perché l’America non potrà andare avanti senza raggiungere la pacificazione sociale, con la definitiva inclusione delle minoranze.
Le proteste
La morte di Floyd ha scatenato un’ondata di proteste senza precedenti. Mentre si continua a manifestare per fermare ogni forma di violenza da parte della polizia sugli afroamericani, secondo Crowd Counting Consortium la protesta per l’eguaglianza razziale ha dato vita al movimento politico più partecipato di tutta la storia americana. Si stima che l’effetto Floyd abbia portato nelle strade e nelle piazze più di 25 milioni di americani nelle prime due settimane di giugno. Numeri straordinari se si confrontano i dati con quelli di movimenti come la Marcia delle donne del 2017 o quello guidato da Martin Luther King negli anni Sessanta. Oltre questi numeri che danno l’idea dell’entità storica dell’attuale movimento per fermare la violenza razziale, occorre attenzionare tre fattori.
Per la prima volta la causa della lotta alla violenza razziale attrae i giovani, dato che il gruppo più presente è quello degli under 35, e coinvolge anche una fascia sociale benestante con alto reddito (superiore a 150.000 dollari l’anno). In secondo luogo, il 50% dei manifestanti ha dichiarato di non avere mai preso attivamente parte a una protesta politica prima dell’omicidio di Floyd. Infine, le proteste hanno trovato un riferimento comune in un’organizzazione ormai nota con lo slogan “Black lives matter”, che dal 2013 anima il dibattito sui diritti degli afroamericani. In definitiva, la condizione degli afroamericani è al centro di un movimento che non è mai stato cosí partecipato, trasversalmente esteso, da diversi ceti sociali e capace di unire generazioni diverse.
Il trend demografico
Inoltre, le proteste avvengono in una fase di cambiamento demografico che ridurrà progressivamente il potere dei bianchi, che tengono saldamente il controllo della politica americana, mentre emergono le altre componenti sociali: la minoranza latina e quella afroamericana.
I trend demografici in atto negli ultimi decenni dicono che dal 2000 al 2018, il 76% dell’incremento della popolazione americana è dovuto alle minoranze e non ai bianchi. Alle comunità afro-americane in particolare è riconducibile il 17% di questo aumento (un tasso di crescita che è secondo soltanto a quello della crescita dei latinos). Quindi in molti Stati i bianchi stanno gradualmente perdendo il loro monopolio politico e questa trasformazione demografica si riflette anche nelle elezioni del Presidente e del Congresso quando − dopo ogni censimento decennale − si ridistribuiscono in parte i voti dei cosiddetti “grandi elettori”. Già oggi circa il 30% degli elettori degli stati più contesi durante le elezioni di novembre (i cosiddetti battlegroud states) sono afroamericani. Ciò è quanto avviene ad esempio in Georgia dove gli elettori afroamericani sono circa 2,4 milioni.
In altre parole interi collegi elettorali stanno cambiando, gli elettori delle minoranze potranno godere di un maggiore potere di influenzare la politica e al contrario il voto dei bianchi diventerà meno rilevante in termini relativi. Questi cambiamenti spiegano perché negli anni è cresciuta la tensione sul difficile crinale dell’equaglianza razziale, soprattuto dopo la presidenza Obama.
Il voto degli elettori bianchi e degli elettori afroamericani
In questo contesto, tra le proteste e il cambiamento demografico in atto, occorre leggere il voto degli afroamericani. Ci sono due tendenze storiche ormai validate da evidenze empiriche che non possono essere trascurate. La prima riguarda le preferenze politiche dei bianchi e degli afroamericani, la seconda riguarda l’affluenza alle urne.
Dai primi anni Novanta fino a oggi la maggioranza dei bianchi ha votato per il partito repubblicano, mentre la maggioranza degli afroamericani ha votato per i democratici. Tuttavia, nel primo caso lo scarto tra voti per i repubblicani e i democratici è molto ridotto, mentre nel secondo caso i voti per i democratici nelle comunità afroamericane superano nettamente quelli per i repubblicani (dal 1994 al 2019 più di otto elettori afroamericani su dieci hanno votato i democratici). Ovviamente, il picco di consenso democratico tra i black voters è stato raggiunto nel 2008 e nel 2012 per Obama. Nelle elezioni appena svolte i voti degli afroamericani sono andati per l’87% a favore di Biden, confermando il trend appena descritto.
L’affluenza alle urne
Considerando lo stesso periodo storico, dagli anni Novanta a oggi, il secondo dato da monitorare è l’affluenza degli afroamericani alle urne. La minoranza nera partecipa alle elezioni con un’affluenza di poco inferiore a quella degli elettori bianchi. Sono infatti le altre minoranze, come quella ispanica, a partecipare di meno. Studiando questi dati si scopre che l’unica volta in cui si è registrato un crollo nella partecipazione degli afroamericani è stata nel 2016, quando votarono il 60% degli elettori afroamericani, mentre nel 2012 aveva votato quasi il 70%. Infatti, l’assenza di una parte degli elettori neri ha regalato la vittoria a Trump quattro anni fa.
Non sono ancora stati diffusi i dati ufficiali sull’affluenza degli afroamericani nelle elezioni del 2020, ma sappiamo che queste sono le elezioni con l’affluenza elettorale più alta negli ultimi decenni.
L’indicazione piú importante che deriva da questi dati è che sarà sempre più difficile per un candidato alla Casa Bianca vincere senza coinvolgere le minoranze. I repubblicani non potranno contare solo sulla maggioranza del voto dei bianchi, che in termini relativi varrà sempre di meno. I democratici dovranno invece riuscire a coinvolgere gli afroamericani e le altre minoranze per evitare che si ripeta un ulteriore calo nell’affluenza alle urne come nel 2016. Entrambi i partiti dovranno trovare soluzioni politiche nuove per includere gli afroamericani ed ecco perché il futuro della democrazia americana è anche una questione di giustizia razziale.
Le discriminazioni razziali di questa prima parte del ventunesimo secolo sono il primo problema che il nuovo Presidente dovrà affrontare nei “cento giorni” per rinsaldare la coesione nazionale perduta. Una società che è nata da tante minoranze che hanno costruito insieme un destino comune e oggi deve trovare la leadership politica per superare l’eredità del white suprematism. Curare la ferita del razzismo rappresenta la più difficile prova di maturità della società e della democrazia americana dell’era Biden.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
La rappresentanza politica degli afroamericani e dei latinos è essenziale per curare una democrazia ferita. La prova più difficile dell’era Biden
Le elezioni presidenziali del 2020 hanno mostrato delle tensioni latenti nella società americana, preannunciate da un crescente malessere politico già presente prima della presidenza Trumped esploso proprio con l’arrivo del tycoon alla Casa Bianca. Si tratta di vere e proprie scosse alla stabilità politica della democrazia degli Stati Uniti che hanno raggiunto l’apice nei giorni dello scrutinio più lungo della storia americana e che probabilmente continueranno anche dopo l’insediamento del nuovo Presidente il prossimo 20 gennaio.
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