Consiglio Ue: una Merkel “ricaricata” alla presidenza
Recovery Fund: Conte punta sulla Germania, che tra pochi giorni assumerà la presidenza del Consiglio Ue. L'asse italo-tedesco come garanzia di stabilità dell’Unione
Recovery Fund: Conte punta sulla Germania, che tra pochi giorni assumerà la presidenza del Consiglio Ue. L’asse italo-tedesco come garanzia di stabilità dell’Unione
Non c’era bisogno della lettera dell’aprile scorso del Presidente della Bdi, la Confindustria tedesca, e dei massimi vertici delle tre associazioni dell’industria meccanica (Vdma) alla Confindustria e al premier italiano Giuseppe Conte per capire che, senza l’indotto della manifattura italiana, l’industria tedesca (a cominciare dall’automotive) è condannata alla paralisi, anche perché un quarto di quanto esporta l’Italia nelle economie del G10 è diretto in Germania.
L’appello dell’industria tedesca era rivolto a riprendere gradualmente l’attività, sia pure salvaguardando i protocolli sanitari. Secondo la Vdma “non è concepibile pensare a un’Europa priva del tutto o in parte, delle sue due maggiori industrie: la meccanica tedesca e la manifattura italiana. L’industria meccanica tedesca ha un rapporto molto stretto con i suoi clienti e fornitori italiani e viceversa. Le aziende metalmeccaniche tedesche e italiane non solo svolgono un ruolo economico insostituibile, ma necessitano dei loro rispettivi fornitori e partner, in quanto fulcro del valore europeo”.
Riavvolgendo il nastro della memoria è facile tornare a quella calda estate del 2011 quando la Cancelliera Angela Merkel prese il telefono per segnalare al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano tutta la sua preoccupazione per la situazione italiana. Lo spread era alle stelle e nella cassaforte di Draghi in Banca d’Italia era già pronto il decreto per la sospensione delle contrattazioni in Borsa. Eppure, nei Consigli europei che precedettero il G8 di Deauville e il G20 di Cannes, il premier italiano Silvio Berlusconi aveva fatto scena muta sonnecchiando per gran parte della riunione. “Vorrei che fosse chiaro” – disse la Merkel a Napolitano – “che se cade l’Italia cade la Germania e l’Europa muore.” Un grido di allarme che non restò inascoltato e portò a Palazzo Chigi Mario Monti.
Nove anni dopo, aggravati dall’emergenza Covid-19, le fragilità dell’eurozona e i rapporti conflittuali tra le due sponde dell’Atlantico – sostanzialmente il dissidio non solo commerciale Washington-Berlino – hanno riportato a galla la necessità di unasse italo-tedesco come garanzia di stabilità dell’Unione.
Tra pochi giorni, il primo luglio, la Germania assumerà la presidenza dell’Unione europea. Già si parla di una “Reloaded Merkel” una Merkel ricaricata: sul piano interno, dopo il fallimento della guida della Cdu di Annegret Kramp-Karrenbauer travolta dallo scandalo in Turingia, e sul piano europeo, con un ruolo di leadership che è mancato all’attuale Presidente del Consiglio Ue, Charles Michel.
Anche se la Germania non era tra i firmatari della lettera dei nove promossa da Conte e Macron, per un salto di qualità nella risposta finanziaria europea alla pandemia, la Germania ha capito subito che non le conveniva aggrapparsi ai quattro “frugali” ma perseguire un disegno più ambizioso in stretta intesa con la Presidente (tedesca) della Commissione Ursula von der Leyen. È stata sempre la Merkel a rimettere in moto il vagone di testa franco-tedesco per lanciare il patto sui 500 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto, primo abbozzo dei Recovery Fund messo sul tavolo della Commissione.
Dopo l’ultimo vertice europeo le posizioni sono ancora distanti, con i “frugali” (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia) pronti a dare battaglia sul Recovery Fund (ma soltanto se non avranno conferma degli sconti sul bilancio pluriennale 2021-2027) e con i Paesi dell’est che chiedono maggiori fondi di coesione. Non sarà facile trovare una “quadra” che preveda sia un bilancio pluriennale ambizioso da 1.100 miliardi e un piano di ripresa da 750 miliardi, di cui un terzo prestiti e due terzi sussidi.
Da parte italiana, il premier Conte punta tutte le sue carte sulla Merkel. Ma è tutto il Governo ormai a prendere la Germania come punto di riferimento non solo per il Next Generation Eu, ma anche per la riduzione dell’Iva, la ripresa del turismo europeo, la collaborazione per il vaccino anti Covid, la crisi libica e le nuove politiche migratorie. Un clima favorito anche dal ruolo che in questi mesi continua a svolgere il consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, l’ambasciatore Piero Benassi, che in passato ha guidato l’ambasciata italiana a Berlino.
Non c’era bisogno della lettera dell’aprile scorso del Presidente della Bdi, la Confindustria tedesca, e dei massimi vertici delle tre associazioni dell’industria meccanica (Vdma) alla Confindustria e al premier italiano Giuseppe Conte per capire che, senza l’indotto della manifattura italiana, l’industria tedesca (a cominciare dall’automotive) è condannata alla paralisi, anche perché un quarto di quanto esporta l’Italia nelle economie del G10 è diretto in Germania.
L’appello dell’industria tedesca era rivolto a riprendere gradualmente l’attività, sia pure salvaguardando i protocolli sanitari. Secondo la Vdma “non è concepibile pensare a un’Europa priva del tutto o in parte, delle sue due maggiori industrie: la meccanica tedesca e la manifattura italiana. L’industria meccanica tedesca ha un rapporto molto stretto con i suoi clienti e fornitori italiani e viceversa. Le aziende metalmeccaniche tedesche e italiane non solo svolgono un ruolo economico insostituibile, ma necessitano dei loro rispettivi fornitori e partner, in quanto fulcro del valore europeo”.
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