Da diverse settimane Taiwan segnala una crescita di incursioni cinesi. Il Ministro degli Esteri taiwanese dice che, se necessario, si difenderà fino alla fine
Da diverse settimane Taiwan segnala una crescita di incursioni cinesi. Il Ministro degli Esteri taiwanese dice che, se necessario, si difenderà fino alla fine
Se la Cina è un dragone, un colosso da 9,6 milioni di chilometri quadrati e quasi un miliardo e mezzo di abitanti, Taiwan deve essere un porcospino. Cioè un Paese sì piccolo e imparagonabile per potenza al gigante cinese, ma ben armato e capace di difendersi, in modo da scoraggiare un’aggressione militare. Gli istrici fanno così: drizzano gli aculei per apparire più minacciosi e indurre il predatore di turno a rinunciare all’attacco, se vuole risparmiarsi le ferite e i costi associati.
Cosa vuole la Cina, cosa teme l’America
Gli Stati Uniti, che di Taiwan sono i principali sostenitori e fornitori di armi, vogliono che l’isola si doti di una corazza di sistemi bellici (porcupine strategy) per proteggersi da un’eventuale invasione cinese. Pechino infatti non considera Taipei uno Stato indipendente bensì una parte del proprio territorio e vuole pertanto arrivare all’unificazione. Meglio se in maniera pacifica – aveva detto il Presidente della Cina Xi Jinping due anni fa –, ma riservandosi l’opzione di usare la forza, se necessario.
Durante l’audizione al Senato americano, a fine marzo, l’ammiraglio John Aquilino – comandante della Flotta del Pacifico degli Stati Uniti – disse che l’annessione di Taiwan è “la priorità numero uno” della Cina ed è “molto più vicina di quanto molti credano”. Per il comandante del Comando dell’Indo-Pacifico, Philip Davidson, l’invasione avverrà “durante questo decennio, in realtà nei prossimi sei anni”.
Le dichiarazioni di Aquilino e Davidson vanno scremate dalla retorica e non descrivono necessariamente la realtà. Non significa, cioè, che l’esercito cinese sbarcherà a breve sulle coste taiwanesi (operazione peraltro complicata, vista la montuosità del territorio). È vero però che negli ultimi anni la Cina si è fatta più assertiva, all’interno e all’esterno. È vero che ha rafforzato il controllo politico su Hong Kong, benché non si tratti di una questione sovrapponibile a quella taiwanese. È vero che sta aumentando la spesa per la difesa e vuole modernizzare le proprie forze armate.
Aumentano le incursioni e le esercitazioni
Ed è vero, infine, che il clima in questa parte di Oceano Pacifico è parecchio teso. Da diverse settimane Taiwan segnala una crescita delle incursioni di caccia cinesi all’interno della propria zona di identificazione di difesa aerea (ADIZ). Il 26 marzo Taipei ha contato venti aerei militari cinesi in un giorno solo. Più recentemente, mercoledì, ci sono state quindici violazioni dell’ADIZ. Due giorni prima, lunedì 5 aprile, Pechino ha condotto delle esercitazioni navali con la portaerei Liaoning nei pressi di Taiwan e ha circondato l’isola a est e ovest con aerei da guerra.
Il Global Times – giornale in lingua inglese legato al Partito comunista cinese – ha parlato di manovre di routine che rafforzano la “prontezza operativa” delle forze armate di Pechino verso gli americani. Un’evidente dimostrazione di forza, rivolta sia a Taipei che a Washington.
L’America ha risposto mandando il cacciatorpediniere John S. McCain nello stretto di Taiwan e rimarcando, con un comunicato, il solito impegno per “un Indo-Pacifico libero e aperto”.
“Ci difenderemo fino all’ultimo giorno”
Il Ministro degli Esteri taiwanese Joseph Wu, invece, ha rilasciato una dichiarazione dai toni battaglieri. Riferendosi alla possibilità di un attacco cinese, ha detto che “siamo disposti a difenderci senza alcun dubbio e combatteremo la guerra se dovremo combatterla. E se dobbiamo difenderci fino all’ultimo giorno, ci difenderemo fino all’ultimo giorno”.
Da Washington il dipartimento di Stato ha voluto sottolineare che l’impegno dell’America verso Taiwan è rock-solid, “solidissimo”. Oltre alle forniture di sistemi d’arma, di recente gli Stati Uniti hanno firmato con Taiwan un accordo per rafforzare la cooperazione tra le rispettive guardie costiere.
Questo mese a Taiwan si terranno otto giorni di simulazioni di guerra via computer nei quali si ricreerà un attacco cinese. A luglio, poi, ci saranno delle esercitazioni dal vivo, con addestramenti antisbarco e simulazioni negli ospedali per la gestione di grandi quantità di feriti.
Il Ministro Wu ha detto che Taiwan spenderà di più per rafforzare le proprie capacità militari, ma dipende da Washington per la difesa. A complicare la situazione, l’isola è nel contempo dipendente da Pechino per quanto riguarda l’economia: la Cina è infatti il suo primo partner commerciale.
Ci sono ragioni economiche – o meglio: strategiche – dietro alla possibile invasione cinese di Taiwan, e non soltanto motivazioni nazionalistiche o di presunta integrità territoriale. Pechino teme infatti che un maggiore allineamento tra Washington e Taipei possa complicarle l’accesso ai semiconduttori, dei componenti fondamentali per tutta una serie di settori industriali. L’azienda taiwanese TSMC vale da sola circa la metà della loro produzione globale. Al momento la Cina è in ritardo sui semiconduttori, e ha necessità di importarli.
Da diverse settimane Taiwan segnala una crescita di incursioni cinesi. Il Ministro degli Esteri taiwanese dice che, se necessario, si difenderà fino alla fine
Se la Cina è un dragone, un colosso da 9,6 milioni di chilometri quadrati e quasi un miliardo e mezzo di abitanti, Taiwan deve essere un porcospino. Cioè un Paese sì piccolo e imparagonabile per potenza al gigante cinese, ma ben armato e capace di difendersi, in modo da scoraggiare un’aggressione militare. Gli istrici fanno così: drizzano gli aculei per apparire più minacciosi e indurre il predatore di turno a rinunciare all’attacco, se vuole risparmiarsi le ferite e i costi associati.
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