Le manifestazioni dell’ultimo anno hanno indotto il Presidente Saied a congelare i poteri del Parlamento. La fiducia dei tunisini nel Governo è oggi tra le più basse del mondo arabo
La Tunisia ha un nuovo Governo, il terzo dell’attuale legislatura, senza contare le proposte bocciate negli ultimi due anni. Incaricata dal Presidente della Repubblica Kaïs Saïed, Najla Bouden Romdhan è la prima donna premier in tutto il mondo arabo e il suo Governo ha prestato giuramento di fronte al presidente l’11 ottobre 2021. Il Paese sembra uscire così dall’impasse istituzionale aperta da Saïed il 25 luglio scorso, con lo scioglimento del parlamento e l’assunzione dei pieni poteri.
Sebbene la maggior parte dei tunisini abbia sostenuto le scelte del Presidente, la notizia non è uniformemente accolta con sollievo ed entusiasmo, così come diverse sono le impressioni circa l’operato di Saïed e le sue conseguenze. I maggiori dubbi vertono sul raggio di azione di cui disporrà effettivamente il nuovo esecutivo, oltre che sui sottili margini giuridici delle misure eccezionali adottate negli ultimi mesi, in un contesto nazionale già particolarmente delicato. Se da un lato, infatti, la Tunisia vanta una storia di successo relativamente agli sviluppi della Rivoluzione del 2011 ed è vista da molti come il “cantiere democratico” della regione, dall’altro sono ampie le zone d’ombra della transizione ed alcuni aspetti della vita dei tunisini non sono stati rivoluzionati affatto.
Le tensioni sociali non hanno mai smesso di animare le città e le regioni interne di fronte alle stesse condizioni socio-economiche fulcro del malcontento e delle proteste del 2011. Con un sistema elettorale proporzionale, il proliferare di partiti e la difficoltà a formare maggioranze solide in parlamento hanno contribuito a dare luogo a un quadro politico frammentato e instabile. Le principali formazioni hanno operato in continuo compromesso o scontro tra loro, in un clima di diffidenza reciproca. Dieci governi si sono succeduti in dieci anni e, fuorché a livello propagandistico, non è mai stato avviato un reale dibattito per trasformare strutturalmente il modello di sviluppo del Paese e redistribuire i benefici della crescita economica al di là dei confini regionali e sociali. Tra gli organi indipendenti previsti dalla Costituzione per la tutela della democrazia e dei diritti contenuti nel Testo, solo l’Istanza superiore indipendente per le elezioni è stata effettivamente messa in funzione e perfino la formazione della Corte costituzionale è ancora ostaggio dell’immobilismo istituzionale. Nel frattempo, crescita, esportazioni e investimenti non sono mai tornati ai livelli pre-2011 e anni di instabilità politica hanno contribuito ad intaccare la resilienza economica tunisina.
Di fronte a una classe politica incapace di mettere mano alle questioni ritenute più rilevanti e percepita come lontana dalle esigenze del popolo, la fiducia dei tunisini nei Governi è stata tra le più basse del mondo arabo negli ultimi anni. L’affluenza alle elezioni legislative è passata dal 68,36% nel 2014 al 41,70% nel 2019 e lo scenario delineatosi in parlamento in seguito all’ultima votazione, il più frammentato della storia tunisina, ha aperto la strada alle crisi politiche degli ultimi 2 anni. L’esito del voto ha inoltre riflettuto la disillusione dei cittadini, vista l’entrata in campo di correnti reazionarie che, a partire da prerogative diverse, si oppongono ai successi ottenuti durante la transizione o alla parentesi rivoluzionaria stessa. Tuttavia, anche se per alcuni aspetti il sostegno alla democrazia da parte dei tunisini è in declino e si è temuto, specialmente con la crisi aperta dal Presidente, un ritorno all’autoritarismo, non sembra tanto la forma di governo democratica a essere contestata, quanto piuttosto la pratica che essa ha assunto e la capacità dei partiti di concretizzare la speranza costituzionale. Il secondo turno delle presidenziali del 2019, che ha visto competere due personalità considerate outsider della politica, ha raccolto il più alto numero di elettori dal 2011. Il vincitore, Kaïs Saïed, forte tra l’altro della sua campagna anti-corruzione e definito da molti un presidente populista, è particolarmente popolare tra i giovani e nei quartieri poveri e si era da tempo espresso a favore di eventuali cambiamenti nel sistema di governo per ridurre la centralità dei partiti. Fin da subito, Saïed ha dimostrato di non essere un uomo del compromesso e ha agito con particolare risolutezza nei rapporti con il parlamento.
Sullo sfondo di una lunga crisi socio-economica aggravata dalla pandemia da Covid-19 e di un progressivo peggioramento della situazione epidemiologica che ha messo in ginocchio un sistema sanitario nazionale depredato da decenni di tagli ai servizi, le manifestazioni contro il governo si sono intensificate durante l’ultimo anno. In questo contesto, invocando l’articolo 80 della costituzione, il presidente ha congelato i poteri del parlamento, revocato l’incarico del Primo Ministro e l’immunità parlamentare dei deputati, e ha annunciato il passaggio del potere esecutivo in capo alla Presidenza. A suon di decreti presidenziali, Saïed ha poi licenziato una lunga serie di politici e funzionari, e ad agosto ha prorogato le misure eccezionali fino a data da destinarsi, considerando le istituzioni politiche esistenti e le loro pratiche un pericolo per la sicurezza dello Stato. Diversi sono stati gli appelli politici e della società civile che hanno invocato garanzie certe rispetto alle misure eccezionali, e la piazza si è divisa tra sostenitori e oppositori, con gli ultimi che gridavano al colpo di stato. Una settimana prima dell’incarico alla prima ministra Bouden, un nuovo decreto presidenziale ha stabilito importanti cambiamenti nella distribuzione del potere esecutivo, facendolo propendere dal lato della presidenza a tempo indeterminato.
Nel frattempo, l’Unione europea si è limitata a qualche timido appello a rispettare la costituzione ed evitare la violenza. In un contesto di ritiro americano dal Medio Oriente, il vuoto di influenze creatosi è stato colmato dalle potenze regionali che, in questo caso, hanno tutto l’interesse a determinare le dinamiche tunisine a proprio favore e che, rispetto all’Ue, hanno adottato posizioni più nette durante la crisi. Se, da una parte, sono intensi i flussi di assistenza economica europea in Tunisia, incentrati sul buon governo e sul rafforzamento della rule of law, dall’altra i principali accordi bilaterali degli ultimi anni hanno riguardato principalmente i temi della sicurezza (contrasto al terrorismo e migrazioni) e del commercio (per il libero scambio); tali accordi sono spesso svantaggiosi per i cittadini della sponda Sud e non tengono conto dei reali bisogni locali e dell’opinione della società civile tunisina a riguardo. L’Ue, al contrario, potrebbe cercare di porsi come partner politico strategico della Tunisia, identificando obiettivi realmente comuni che stimolino il Paese a intraprendere le riforme di cui necessita.
Nonostante la dubbia legittimità di diverse scelte del Presidente e l’assenza di una corte costituzionale che avrebbe dovuto sorvegliare gli sviluppi della crisi, il sostegno popolare nei confronti di Saïed è rimasto alto nei sondaggi. Con tutte le criticità rappresentate dall’atteggiamento del tipico “uomo forte” al Governo e dall’accentramento del potere nelle mani di una singola persona, il presidente sembra avere realizzato i desideri di una gran parte di cittadini che, insoddisfatti della classe dirigente, desideravano da tempo un profondo rinnovamento politico. La speranza è quindi che, una volta avviati i lavori del nuovo governo e riprese le attività del parlamento, la situazione si stabilizzi e la politica possa dedicarsi in maniera efficiente ai problemi che attanagliano il Paese. Inoltre, come osservato per quanto riguarda l’opposizione di diverse parti sociali alle mosse del presidente e le manifestazioni per un ritorno alla normalità che si sono intensificate nei giorni a ridosso della nomina della nuova premier, i tunisini continuano a dimostrare una forte fiducia nella propria capacità di influenzare la politica, esprimendo le proprie opinioni e necessità attraverso una pratica diretta della democrazia.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
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Sebbene la maggior parte dei tunisini abbia sostenuto le scelte del Presidente, la notizia non è uniformemente accolta con sollievo ed entusiasmo, così come diverse sono le impressioni circa l’operato di Saïed e le sue conseguenze. I maggiori dubbi vertono sul raggio di azione di cui disporrà effettivamente il nuovo esecutivo, oltre che sui sottili margini giuridici delle misure eccezionali adottate negli ultimi mesi, in un contesto nazionale già particolarmente delicato. Se da un lato, infatti, la Tunisia vanta una storia di successo relativamente agli sviluppi della Rivoluzione del 2011 ed è vista da molti come il “cantiere democratico” della regione, dall’altro sono ampie le zone d’ombra della transizione ed alcuni aspetti della vita dei tunisini non sono stati rivoluzionati affatto.