Due studentesse, di ritorno da una Study Mission a Istanbul, fanno un punto sui recenti sviluppi della politica estera di Erdogan e sulle strategie e problematiche che questa sottende
Turchia e Israele hanno riallacciato i rapporti diplomatici il 17 agosto di quest’anno. In un momento in cui la Turchia, nel bene e nel male, ha assunto un ruolo di grande importanza nello scacchiere della politica mondiale. Con la quarta rete diplomatica del mondo, la Turchia oggi gioca un ruolo fondamentale nel fragile e complesso ordine geopolitico, prova è il suo intervento nel recente accordo per l’esportazione del grano tra la Russia e l’Ucraina. La decisione turca di re-instaurare i rapporti diplomatici con Israele non è pertanto del tutto una sorpresa.
I rapporti con Tel Aviv
La Turchia è stato il paese musulmano che ha avuto i rapporti diplomatici più consolidati con Tel Aviv e la prima nazione musulmana a formalizzare i rapporti con Israele già nel 1949, un fatto che sicuramente fa riflettere sull’importanza che la religione riveste nella politica turca e come si è evoluta nel tempo. Come si colloca l’Islam all’interno della sfera pubblica turca è tutt’altro che semplice. Dal 2002, il paese è stato governato dal partito AK che affonda le proprie radici ideologiche nei valori islamici riuscendo però ad associarli efficacemente con politiche economiche neoliberali. Il clima politico che ne è scaturito è un amalgama di islamismo e laicismo, un atteggiamento che è emerso chiaramente anche dal modo in cui sono stati affrontati i rapporti diplomatici con Israele. I rapporti tra le due potenze hanno cominciato a sfilacciarsi dopo un violento confronto avvenuto nel 2010, quanto attivisti turchi hanno tentato di sfondare un blocco navale imposto da Israele nella striscia di Gaza. Nonostante un breve riavvicinamento nel 2016, sono poi peggiorati di nuovo dopo la decisione del Presidente Trump di riconoscere Gerusalemme quale capitale ufficiale di Israele. La dichiarazione di Erdogan a favore dei Palestinesi e le feroci critiche espresse nei confronti di Israele, che ha accusato di genocidio nel maggio 2018, dopo i violenti scontri lungo il muro di divisione con Gaza seguiti allo spostamento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, sono stati solo l’inizio di una rottura dei rapporti diplomatici durata quattro anni.
L’Iran
Oggi, gli aspetti più pragmatici dei rapporti internazionali della Turchia vengono di nuovo a galla. Israele e Turchia si sono attivate per rinsaldare i propri legami perché temono entrambe l’allargamento dell’influenza iraniana nella zona. Un timore che per la Turchia ha connotati anche religiosi, essendo un paese a maggioranza sunnita, a differenza dell’Iran dove prevalgono gli Sciiti. È interessante notare la persistente sfiducia che cova ancora tra Iran e Turchia, nonostante gli sforzi fatti per intrattenere rapporti più stretti, per esempio l’incontro tra il Presidente Erdogan e il Presidente iraniano Ebrahim Raisi a luglio per promuovere una maggior cooperazione a livello economico. È probabile che i due paesi continueranno a manifestare una fratellanza di facciata fronteggiandosi però in molti campi e perseguendo spesso interessi di natura opposta.
La Siria
Un altro punto chiave da non sottovalutare è la crisi perdurante in Siria. Erdogan, in nome della stabilità e sicurezza regionali, continua a minacciare una offensiva nella Siria settentrionale per allargare quella che lui definisce la “Zona di Sicurezza” nonostante gli avvertimenti contrari di Usa, Russia e Iran. La questione siriana è anche fortemente interconnessa con la questione curda, dato che l’Unità di Protezione Popolare curda (YPG), che la Turchia considera un gruppo terrorista, è attiva nelle città del nord della Siria. Dopo aver minacciato l’avvio di azioni militari contri i curdi, Erdogan ultimamente ha abbassato i toni, e si è dichiarato disposto ad aprire una discussione con la Siria.
Tra la Russia e l’Ucraina
Se si tiene conto della crisi economica che colpisce la Turchia, l’instaurazione e il mantenimento di rapporti diplomatici con svariati attori economici è di fondamentale importanza per il paese. La Turchia sta infatti lavorando a stretto contatto con due fazioni opposte, raddoppiando le importazioni di petrolio dalla Russia e al tempo stesso vendendo droni all’Ucraina, prodotti dal marito della figlia di Erdogan. Erdogan ambisce ad essere un grande leader capace di garantire alla propria nazione quella stabilità economica di cui ha bisogno mettendo a frutto i buoni rapporti che intrattiene con gli altri paesi.
Si può perciò capire come la politica estera turca dipenda da questo delicato equilibrio tra la necessità di perseguire valori islamici, senza trascurare le esigenze strategiche, e la volontà turca di giocare un ruolo preminente a livello internazionale.
Ana Kamber (Zumikon) studia Giurisprudenza presso l’Università di St. Gallen in Svizzera.
Francesca Fortunato (Milano) studia Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Bocconi. È membro del movimento globale ONE.
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La Turchia è stato il paese musulmano che ha avuto i rapporti diplomatici più consolidati con Tel Aviv e la prima nazione musulmana a formalizzare i rapporti con Israele già nel 1949, un fatto che sicuramente fa riflettere sull’importanza che la religione riveste nella politica turca e come si è evoluta nel tempo. Come si colloca l’Islam all’interno della sfera pubblica turca è tutt’altro che semplice. Dal 2002, il paese è stato governato dal partito AK che affonda le proprie radici ideologiche nei valori islamici riuscendo però ad associarli efficacemente con politiche economiche neoliberali. Il clima politico che ne è scaturito è un amalgama di islamismo e laicismo, un atteggiamento che è emerso chiaramente anche dal modo in cui sono stati affrontati i rapporti diplomatici con Israele. I rapporti tra le due potenze hanno cominciato a sfilacciarsi dopo un violento confronto avvenuto nel 2010, quanto attivisti turchi hanno tentato di sfondare un blocco navale imposto da Israele nella striscia di Gaza. Nonostante un breve riavvicinamento nel 2016, sono poi peggiorati di nuovo dopo la decisione del Presidente Trump di riconoscere Gerusalemme quale capitale ufficiale di Israele. La dichiarazione di Erdogan a favore dei Palestinesi e le feroci critiche espresse nei confronti di Israele, che ha accusato di genocidio nel maggio 2018, dopo i violenti scontri lungo il muro di divisione con Gaza seguiti allo spostamento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, sono stati solo l’inizio di una rottura dei rapporti diplomatici durata quattro anni.