Ankara chiede l’estradizione di 130 separatisti curdi prima del summit dell’Alleanza di Vilnius: cresce la pressione sul Paese di Erdoğan
Non sono bastati alla Turchia i passi in avanti della Svezia per darle il definitivo via libera all’ingresso nella Nato. Nonostante Stoccolma abbia ripreso la vendita di armi e munizioni ad Ankara e, successivamente, modificato la legge anti-terrorismo, arriva dagli ambienti governativi turchi una cruciale e perentoria richiesta: l’estradizione di 130 separatisti curdi. È proprio attorno al nodo delle figure ritenute dalla Turchia legate al mondo del terrorismo curdo che ruota lo scontro tra i due Paesi, con la Svezia che ha de facto dato ospitalità a quelli che per Stoccolma sono (o forse erano) considerati rifugiati politici.
La richiesta precisa della Turchia alla Svezia
La perentorietà della richiesta è legata al summit di Vilnius di luglio, un meeting al quale i membri Nato speravano di arrivare con maggiori certezze sull’allargamento dell’Alleanza alla Svezia. Ciò non appare probabile, salvo stravolgimenti delle prossime settimane: infatti, la Turchia regge senza troppe preoccupazioni alle pressioni in arrivo dagli alleati, che spingono per l’ok all’ingresso di Stoccolma. Nei giorni scorsi il Cancelliere tedesco Olaf Scholz si è letteralmente appellato al Presidente Recep Tayyip Erdoğan, chiedendogli di dar seguito a quanto deciso lo scorso anno a Madrid. “Credo fermamente che la Svezia debba unirsi alla Finlandia come nuovo alleato già al prossimo summit”, ha detto il Cancelliere al Bundestag.
Lo strategic mechanism tra Turchia e Stati Uniti
Nella giornata di ieri funzionari turchi e statunitensi si sono riuniti a Washington per discutere sotto il cappello del strategic mechanism, la forma intergovernativa voluta nel 2021 per promuovere il dialogo ad alto livello sui temi di frizione tra i due alleati. Tra questi, la vendita degli F-16 alla Turchia che, per quanto negato dalla Casa Bianca, è la vera contropartita che darebbe impulso all’apertura di Ankara verso Stoccolma. Erdoğan e Joe Biden, hanno avuto una conversazione telefonica a cavallo tra maggio e giugno, occasione utile al leader dell’AKP per ribadire l’intenzione turca di investire 20 miliardi di dollari per i mezzi aerei e altra componentistica utile all’ammodernamento dell’apparato militare.
Verso il summit di Vilnius
È evidentemente fitto lo scambio diplomatico, ai più alti livelli, sull’ingresso della Svezia nella Nato, cruciale per molteplici ragioni. Da un lato, offrirebbe immediate garanzie di sicurezza a Stoccolma, che con l’invasione della Russia in Ucraina ha voluto modificare il suo approccio in politica estera, di comune accordo alla confinante Finlandia, ancor più esposta ai rischi geopolitici vista la vicinanza con la Federazione. Dall’altro, arrivare al summit di Vilnius in un quadro unitario rafforzerebbe l’immagine del Patto Atlantico. Tuttavia, non sembra questo il caso: le discussioni proseguono ma senza certezza alcuna di tempi precisi, né di chi sarà il prossimo Segretario Generale: si rafforza l’ipotesi di un’ulteriore estensione del mandato di Jens Stoltenberg.
La questione curda
Di sicuro c’è la posizione rigida della Turchia, che ritiene imprescindibile un cambio di atteggiamento verso il mondo curdo da parte delle potenze occidentali che, tuttavia, hanno intessuto con alcune sigle, come l’YPG, rapporti rivelatisi positivi nel contrasto all’avanzata dell’ISIS. Su tutti, proprio gli Stati Uniti, che hanno addestrato le milizie YPG e dato loro supporto militare. Un errore per Ankara, che ha sempre criticato l’atteggiamento di Washington, arrivando allo scontro frontale che, in qualche modo, ancora oggi notiamo relativamente al freno a mano turco tirato sul via libera all’ingresso della Svezia nella Nato.