Dalle dichiarazioni del segretario alla Difesa emerge che Washington non vuole soltanto sostenere militarmente la resistenza ucraina, ma anche ridurre la potenza russa affinché non possa più invadere un altro Paese
Già nelle settimane precedenti all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la posizione degli Stati Uniti era grossomodo chiara. Washington fece capire di non avere intenzione di impegnarsi in prima persona per la difesa di Kiev, parte di un quadrante lontano da quello giudicato prioritario (l’Asia-Pacifico), ma di essere tuttavia disposta a fornire supporto militare e a colpire Mosca con sanzioni economiche. Nei piani della Casa Bianca, poi, c’era l’“appaltamento” del contenimento russo a Estonia, Lettonia e Lituania: in questo modo – sfruttando cioè i timori dell’area baltica per l’agenda geopolitica del Cremlino – l’America avrebbe potuto concentrarsi meglio sulla competizione con la Cina.
Con il passare dei giorni e con l’evolversi del conflitto, che ha mostrato una Russia meno capace di quanto si credeva, il pensiero degli Stati Uniti sembra essere mutato, forse perfino sul piano strategico. Lunedì, dopo la visita segreta a Kiev, il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha fatto un’affermazione forte: ha detto cioè che l’America vuole vedere la “Russia indebolita a un punto tale da non poter più fare cose come l’invasione dell’Ucraina”. Una frase che lascia intendere che Washington, attraverso l’assistenza militare e i corposi invii di armi, non vuole soltanto sostenere la resistenza ucraina, ma anche ridurre la potenza russa. La guerra, in altre parole, è un mezzo per inibire le capacità belliche del Cremlino e, di conseguenza, limitare le sue future possibilità di proiezione all’estero.
L’obiettivo era in realtà evidente già da prima che Austin lo rendesse esplicito. Alcune delle sanzioni imposte da Washington contro Mosca in risposta all’aggressione miravano infatti proprio all’indebolimento dell’industria della difesa russa, impedendole l’accesso alla componentistica necessaria allo sviluppo e alla fabbricazione di armamenti: deve importarla dall’estero perché non è in grado di produrla da sé, e non è detto che riesca a trovare delle alternative alle tecnologie occidentali. A marzo, nel presentare le restrizioni alle esportazioni verso la Russia, il Presidente americano Joe Biden disse che il loro scopo era “indebolire la sua forza economica e il suo esercito per gli anni futuri”.
Alla pratica si affianca la retorica. Non è un caso se ultimamente l’amministrazione Biden ripete con una certa convinzione che l’Ucraina può vincerla, la guerra, anche se si è spostata su un terreno più favorevole (in teoria) ai russi: l’est dell’Ucraina è fatto di spazi aperti che non offrono grandi nascondigli naturali né possibilità di attacchi a sorpresa per le forze ucraine.
La strategia americana ha dei rischi. Il primo, più immediato, è che la Russia, frustrata per la mancanza di successi sul campo e sentendo di non poter più fare affidamento sulle forze convenzionali, decida di passare ai cyberattacchi, alle armi chimiche o agli ordigni nucleari tattici (hanno un potere esplosivo inferiore rispetto a quelli strategici). Il secondo è che il Cremlino, percependo il decadimento non solo militare ma anche economico-politico del Paese, sviluppi tendenze revanscistiche e si faccia ancora più aggressivo: una Russia umiliata, insomma, potrebbe essere ancora più pericolosa di quella attuale.
Per gli Stati Uniti, però, l’invasione dell’Ucraina non riguarda solo l’Ucraina ma è una battaglia più ampia tra valori democratici e prevaricazione autocratica. O, meglio – citando alla lettera Biden –, “nient’altro che una sfida diretta all’ordine internazionale basato sulle regole istituito dalla fine della Seconda guerra mondiale”. Un ordine internazionale modellato e guidato da Washington.
Già nelle settimane precedenti all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la posizione degli Stati Uniti era grossomodo chiara. Washington fece capire di non avere intenzione di impegnarsi in prima persona per la difesa di Kiev, parte di un quadrante lontano da quello giudicato prioritario (l’Asia-Pacifico), ma di essere tuttavia disposta a fornire supporto militare e a colpire Mosca con sanzioni economiche. Nei piani della Casa Bianca, poi, c’era l’“appaltamento” del contenimento russo a Estonia, Lettonia e Lituania: in questo modo – sfruttando cioè i timori dell’area baltica per l’agenda geopolitica del Cremlino – l’America avrebbe potuto concentrarsi meglio sulla competizione con la Cina.