La pandemia da Covid-19 sta riscrivendo la politica europea, mossa da equilibri e rapporti di forza che si giocheranno in gran parte sui vaccini
Non sarà un discorso semplice e rituale quello che il premier italiano Mario Draghi dovrà pronunciare il 7 maggio prossimo all’Istituto universitario europeo di Fiesole, a chiusura della decima edizione della conferenza “The State of Union”. Insieme alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, all’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la sicurezza Josep Borrell, alla Presidente della Bce Christine Lagarde e alla Direttrice del Fondo monetario Kristalina Georgieva, Draghi dovrà tracciare un bilancio degli ultimi mesi della politica europea, lanciando nello stesso tempo messaggi rassicuranti per il futuro. La decima edizione avrà un tema ambizioso – “L’Europa in un mondo che cambia” – e si terrà in forma ‘ibrida’ per le misure anti Covid, con sessioni in presenza e altre online.
C’è solo da sperare che a maggio il quadro politico europeo non sia più così fortemente condizionato dalla pandemia acuta e che si possa ricominciare a delineare un futuro di ripresa. Si spera soprattutto che i programmi di vaccinazione in Europa possano produrre buoni risultati spazzando via le residue polemiche sulla debolezza delle istituzioni europee nei rapporti con le case farmaceutiche. Una debolezza che, oltre a creare un gap nei tempi di ripresa economica tra Europa e altri Paesi che hanno vaccinato di più (come Regno Unito, Israele, Russia e Stati Uniti), rischia di innescare anche reazioni a catena nelle grandi famiglie politiche europee fino a ridisegnare gli equilibri creati all’indomani delle elezioni del 2018. Da un lato, si sta assistendo a un rinascente nazionalismo e a spinte sovraniste con l’uscita del partito dell’ungherese Orbán dal Ppe. Dall’altro, partiti come la Lega (oggi presente nel gruppo della Le Pen), con l’appoggio al Governo guidato da un europeista doc come Mario Draghi, potrebbero pensare di avvicinarsi sempre più al Ppe portando i seggi dei popolari a 200 contro i 140 dei socialisti europei. Nuovi equilibri che a maggio saranno forse più chiari anche in vista di una spartizione di poltrone a metà mandato nell’Europarlamento, a cominciare da quella più importante del Presidente che succederà a David Sassoli.
Equilibri e rapporti di forza che si giocheranno in gran parte sulla partita dei vaccini. Nelle ultime settimane la stessa Presidente Ursula von der Leyen è stata bersaglio di accuse per i ritardi nel piano antipandemico e per l’incapacità di dettare regole chiare alle Big Pharma. Una responsabilità che tuttavia non può ricadere solo sulle istituzioni europee perché in materia sanitaria le competenze restano ancora dei singoli Stati membri. Ma le decisioni prese dall’ultimo Consiglio europeo del 25 e 26 febbraio e poi il colloquio tra Draghi e la Presidente von der Leyen di mercoledì 3 marzo hanno ristabilito un rapporto più equilibrato con le case produttrici di vaccini. Fino alla decisione di giovedì 4 marzo di vietare l’esportazione di 250mila dosi di vaccino anti Covid prodotte da AstraZeneca in Italia e destinate all’Australia. Decisione presa dalla Commissione europea su proposta dell’Italia. Un messaggio preciso alla AstraZeneca, secondo il Ministro degli Esteri Di Maio. “Le case farmaceutiche – ha spiegato Di Maio – sono in ritardo con le forniture che avevano assicurato all’Unione europea, non solo all’Italia, e questi ritardi sono inaccettabili”. “Ci aspettiamo – ha aggiunto un portavoce della Commissione Ue – che le imprese facciano il massimo per rispettare gli impegni di consegna che hanno sottoscritto nei contratti con l’Ue e con gli Stati membri”.
Eppure sia Austria che Danimarca hanno annunciato che si muoveranno da soli per trovare i vaccini necessari alla loro popolazione utilizzando anche il prodotto russo Sputnik che l’Agenzia per il farmaco europeo ha attualmente sotto esame. Un segnale di autonomia rispetto a Bruxelles proprio mentre il Primo Ministro ungherese, Viktor Orbán, decide di costruire una propria forza politica in Europa, dopo avere ritirato il proprio partito, Fidesz, dal gruppo del Partito popolare europeo (Ppe) all’Europarlamento. Orbán si avvicinerà al gruppo dei conservatori Ecr dove siedono già la Meloni e Fitto. Marco Zanni, europarlamentare della Lega e leader di Identità e Democrazia, ha reso noto che “Salvini e Orbán hanno parlato un paio di giorni fa, ma di temi politici più che di nuovi gruppi al Parlamento europeo”.
Secondo Zanni “non c’è una piattaforma, non c’è una timeline, non c’è un calendario. Apriamo un dialogo e vediamo quello che viene fuori senza fretta. Se si può costruire qualcosa di positivo e migliore di quello che abbiamo, molto bene. Altrimenti andremo avanti sempre collaborando. Noi siamo pronti a lavorare con chi condivide i nostri obiettivi, che sia Fidez o i partiti che stanno oggi nel gruppo dei Conservatori”. Ma lo stesso Zanni ha ammesso che “l’uscita di Fidesz rimescola un po’ le carte, anche perché credo che in futuro avrà anche degli effetti e dei traumi collaterali all’interno del Ppe”. I copresidenti del gruppo Ecr nel Parlamento europeo, Raffaele Fitto e Ryszard Legutko, in una nota hanno tenuto intanto a ricordare che “il gruppo Ecr è la vera casa dei valori conservatori e dell’eurorealismo. Siamo sempre stati aperti a coloro che condividono i nostri valori e che considerano il gruppo Ecr come una possibile dimora politica”.
È comunque un fatto che l’uscita dal Ppe di Orbán rafforzi le ipotesi di un avvicinamento della Lega ai popolari, che porterebbe il Ppe ad avere quasi 200 seggi. In un Europarlamento così ridisegnato, il gruppo della Le Pen passerebbe poi da quarto a sesto. A un avvicinamento al Ppe sta lavorando in silenzio da tempo il Ministro Giorgetti, ma si tratta di un’operazione che non piace molto a Forza Italia, che si vedrebbe così marginalizzata a un ruolo subalterno. Ma se, come sembra, il successore di Sassoli sarà il popolare Manfred Weber non è escluso che alla Lega dentro il Ppe possa toccare anche una vicepresidenza. Davvero un bel salto dal Papeete a Strasburgo.
La pandemia da Covid-19 sta riscrivendo la politica europea, mossa da equilibri e rapporti di forza che si giocheranno in gran parte sui vaccini
Non sarà un discorso semplice e rituale quello che il premier italiano Mario Draghi dovrà pronunciare il 7 maggio prossimo all’Istituto universitario europeo di Fiesole, a chiusura della decima edizione della conferenza “The State of Union”. Insieme alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, all’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la sicurezza Josep Borrell, alla Presidente della Bce Christine Lagarde e alla Direttrice del Fondo monetario Kristalina Georgieva, Draghi dovrà tracciare un bilancio degli ultimi mesi della politica europea, lanciando nello stesso tempo messaggi rassicuranti per il futuro. La decima edizione avrà un tema ambizioso – “L’Europa in un mondo che cambia” – e si terrà in forma ‘ibrida’ per le misure anti Covid, con sessioni in presenza e altre online.
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