Usa elezioni 2020: Joe Biden sembra il favorito nello scenario attuale, se non altro perché meno elettori sarebbero nuovamente disposti a sopportare i difetti di Donald
Joe Biden durante la sua campagna elettorale nel Delaware. REUTERS/Jonathan Ernst
Usa elezioni 2020: Joe Biden sembra il favorito nello scenario attuale, se non altro perché meno elettori sarebbero nuovamente disposti a sopportare i difetti di Donald
Joe Biden durante la sua campagna elettorale nel Delaware. REUTERS/Jonathan Ernst
I cittadini americani decideranno chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca nel consueto appuntamento elettorale che sin dalla metà dell’Ottocento si celebra il primo martedì dopo il 1° novembre. Dei fattori di incertezza diffusa si intrecciano con il destino politico di Trump e mettono alla prova la democrazia americana in una fase delicata per le sue istituzioni, cioè quando si vota per l’elezione del Presidente e per rinnovare sia la Camera dei rappresentanti sia parte del Senato.
La tendenza nelle elezioni americane
La storia ci mostra una tendenza interessante: nelle elezioni che si svolgono al termine del primo mandato, il Presidente in carica è avvantaggiato e ci sono alte probabilità di una rielezione. Infatti, dei 45 Presidenti che si sono succeduti nella Casa Bianca, 35 di loro sono stati rieletti. Questo dato si spiega considerando che nell’ordinaria vita politica, il voto si riduce alla scelta se confermare o meno l’amministrazione in carica. In particolare, secondo studi politologici l’elettore valuta come ha governato il Presidente nell’ultimo anno a ridosso delle urne ed è il ceto medio a decidere tra continuità e discontinuità, mentre resta in secondo piano l’elettorato posto agli estremi dello spettro politico. Quest’ultima componente diviene decisiva quando si chiude un ciclo presidenziale, cioè dopo due mandati dello stesso Presidente (come avvenuto alla fine dell’era Obama), nel momento in cui il voto valorizza le istanze di cambiamento miste all’attesa di una nuova fase politica.
Nonostante le indicazioni emerse dall’esperienza politica, il voto del prossimo novembre potrebbe smentire molte delle regolarità elettorali sulla rielezione del Presidente e ridare ai democratici il controllo della Casa Bianca e del Congresso. Nel giudizio che spingerà gli elettori a votare per Trump o Biden conteranno in primo luogo i risultati della gestione delle attuali crisi: l’epidemia continua a essere causa principale di gravi problemi sanitari e socioeconomici, le manifestazioni di protesta per i diritti delle minoranze non hanno trovato una soluzione definitiva, le élites sono preoccupate della nuova potenza cinese. Tuttavia, per comprendere le dinamiche di questa campagna elettorale bisogna approfondire anche altri temi: la personalità dei candidati, il voto delle minoranze, la tenuta della cosiddetta Blue Wall e in particolare la leadership costituzionale del Presidente.
La competizione tra Biden e Trump
Lottando contro Biden, Trump si trova in una doppia difficoltà sul piano della strategia. Potremmo sintetizzare il problema come segue: il politico estremista non può diventare un moderato credibile (se non nel lungo periodo), il moderato può diventare più estremista (all’occorrenza). In altre parole, Trump non può competere con Biden nel campo moderato. Al contrario, Biden potrebbe condurre con successo una retorica più aggressiva facendo propri alcuni argomenti della narrativa trumpiana. L’esempio emerso negli scorsi mesi è quello della relazione con la Cina. Biden ha affermato molte volte che il Presidente Trump non ha fatto abbastanza per limitare i rischi della minaccia cinese alla sicurezza nazionale e ha usato parole che si sovrappongono con quelle del tycoon.
Negli staff di Biden e di Trump c’è chi sta studiando i temi che muovono i voti degli indecisi o di chi solitamente non vota. Il tema chiave del 2020 non è l’epidemia, ma la condizione di discriminazione denunciata da molti movimenti come Black lives matter. Gli Usa supereranno l’emergenza sanitaria, ma sarà molto più complesso pacificare la nazione dopo la violenza, le migliaia di proteste e gli arresti. Associated Press ha stimato che potrebbero esserci stati circa 14.000 arresti nelle proteste tra maggio e luglio. Trump sembrerebbe intenzionato a continuare sulla linea della repressione di ogni violenza senza cedere alle proteste, mentre Biden ha chiesto al Presidente Obama di supportare attivamente la sua campagna per avere al suo fianco il primo Presidente afroamericano. Non era scontato che un ex Presidente accettasse, dato che Obama ha mantenuto, come da normale prassi, una posizione al margine della politica attiva fino alla fine del mandato del suo successore.
Infine, Biden ha voluto aprire alle comunità afroamericane ufficializzando la candidatura della senatrice Harris alla carica di vice Presidente. Questo tema ci porta a una grande incognita delle elezioni 2020: il coinvolgimento delle minoranze. Si tratta di una parte molto rilevante nel calcolo del consenso, dato che tutte le minoranze corrispondono insieme a circa il 32% dell’elettorato americano (US Census Bureau, 2020). La loro partecipazione al voto − in passato molto bassa − potrebbe decidere l’esito delle elezioni.
Il voto nella Blue Wall
Altro interrogativo sarà il voto nella Blue Wall, l’area che comprende 18 Stati americani che hanno tradizionalmente votato per i candidati democratici sin dal 1992. Trump è l’unico repubblicano ad aver fatto breccia in tre Stati della Blue Wall negli ultimi trenta anni, in particolare nella Rust Belt, dove i lavoratori dell’industria del ferro e dell’acciaio avevano votato Trump e permesso al tycoon di vincere. Biden sta riconquistando il consenso perso dai democratici nella regione, dopo che nel 2019 la disoccupazione è cresciuta e l’industria siderurgica è nuovamente in crisi, ma non è detto che tutti gli stati della Blue Wall tornino a essere democratici. Inoltre, in molti altri swing states (cioè quegli stati in bilico tra i due partiti) nessuno dei candidati può ancora dirsi in vantaggio.
Si parla di un ampio vantaggio di Biden a livello nazionale, ma i sondaggi possono ingannare. Ad esempio, nelle elezioni del 1988 il candidato favorito era il democratico Michael Dukakis, con un margine ben più ampio di quello attualmente a favore di Biden. Dukakis fu sconfitto dal repubblicano George H. W. Bush. Non si può essere certi di come andrà il voto anche per lo sdoppiamento, ormai sempre più di frequente nelle elezioni presidenziali, tra il voto popolare (cioè la somma dei voti su base nazionale) e il numero di grandi elettori per ciascun candidato. Non a caso, quattro anni fa, la Clinton vinse il voto popolare, ma fu Trump a ottenere il numero di delegati necessari per diventare Presidente. Queste incognite rendono la corsa alla Casa Bianca imprevedibile e dovrebbero spingerci a leggere con cautela i dati diffusi dai sondaggi in questi mesi.
La leadership costituzionale
L’ultimo punto di attenzione è quello della stabilità delle istituzioni federali. Gli Usa affrontano uno dei più difficili tornanti della loro storia. La più grande potenza del mondo si trova in balia dell’emergenza sanitaria e dell’instabilità sociale, mentre si sente minacciata dalla competizione cinese. La percezione di molti è quella di una nazione orfana della “leadership costituzionale” che caratterizza il ruolo dei Presidenti, ossia la capacità di mettere da parte la “partisanship” per diventare l’ancoraggio di cui l’America ha bisogno nelle tempeste. Così fece Roosevelt durante la Grande Depressione e nella Seconda guerra mondiale, o più recentemente George W. Bush all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle e dell’uragano Katrina.
Diversamente dai suoi predecessori, sia democratici sia repubblicani, il Presidente Trump non ha mai cambiato la sua strategia. I media lo descrivono come un Presidente in lotta con i suoi avversari dentro e fuori la Casa Bianca, ostile a ogni forma di dissenso, un leader che non ha teso la mano ai democratici per unire il Paese nelle difficoltà. Per alcuni esperti, tra i quali Fukuyama, la linea dell’uomo forte al comando − diffidente verso le competenze tecniche e chiuso al dialogo anche nei momenti drammatici − non solo non aiuta l’America, ma potrebbe anche danneggiare il Presidente nell’attuale campagna elettorale. Il voto dei ceti medi potrebbe essere un voto di affidamento politico, per ridare stabilità alla leadership della Casa Bianca. A fare la differenza nel voto potrebbe essere quindi anche la percezione comune a molti americani che vedono in Biden un “usato sicuro”, cioè il leader che dopo una lunga esperienza di Governo può traghettare il Paese verso la normalità ormai perduta in un mandato di transizione.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
I cittadini americani decideranno chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca nel consueto appuntamento elettorale che sin dalla metà dell’Ottocento si celebra il primo martedì dopo il 1° novembre. Dei fattori di incertezza diffusa si intrecciano con il destino politico di Trump e mettono alla prova la democrazia americana in una fase delicata per le sue istituzioni, cioè quando si vota per l’elezione del Presidente e per rinnovare sia la Camera dei rappresentanti sia parte del Senato.
La tendenza nelle elezioni americane
La storia ci mostra una tendenza interessante: nelle elezioni che si svolgono al termine del primo mandato, il Presidente in carica è avvantaggiato e ci sono alte probabilità di una rielezione. Infatti, dei 45 Presidenti che si sono succeduti nella Casa Bianca, 35 di loro sono stati rieletti. Questo dato si spiega considerando che nell’ordinaria vita politica, il voto si riduce alla scelta se confermare o meno l’amministrazione in carica. In particolare, secondo studi politologici l’elettore valuta come ha governato il Presidente nell’ultimo anno a ridosso delle urne ed è il ceto medio a decidere tra continuità e discontinuità, mentre resta in secondo piano l’elettorato posto agli estremi dello spettro politico. Quest’ultima componente diviene decisiva quando si chiude un ciclo presidenziale, cioè dopo due mandati dello stesso Presidente (come avvenuto alla fine dell’era Obama), nel momento in cui il voto valorizza le istanze di cambiamento miste all’attesa di una nuova fase politica.
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