Nuove restrizioni in vista sull’esportazione di chip in Cina per la produzione dei semiconduttori. Una mossa che danneggerebbe le aziende statunitensi e il dialogo diplomatico tra i due Paesi
Le più importanti aziende statunitensi di semiconduttori non sono contente di come sta andando il rapporto tra il loro Paese e la Cina. La prossima settimana i loro rispettivi dirigenti dovrebbero recarsi a Washington, alla Casa Bianca, per parlare esporre le proprie preoccupazioni direttamente ai funzionari dell’amministrazione Biden. La notizia è stata riportata da Reuters e Bloomberg, citando fonti interne anonime.
Tra le aziende in questione ci sarebbero Intel Corp., Qualcomm Inc. e Nvidia Corp., tutte realtà con importanti legami commerciali nella Repubblica Popolare. Le fonti hanno riportato che l’obiettivo della visita a Washington sarà di fare pressing. Nelle prossime settimane, infatti, il governo Biden dovrebbe estendere le restrizioni alla vendita in Cina di alcuni chip e attrezzature per la produzione dei semiconduttori.
Le istanze che porteranno i dirigenti delle aziende saranno sia politiche che economiche. Sicuramente non hanno la speranza di invertire il corso degli eventi, ma quella di ammorbidirlo sì. Un ulteriore round di restrizioni rischierebbe di rovinare non solo i loro affari, ma anche i pochi step in avanti fatti a livello diplomatico nell’ultimo mese. Probabilmente il dialogo si fonderà su questo assunto: ulteriori restrizioni faranno male alle aziende statunitensi e anche alla diplomazia del Paese.
Al centro del ciclone
L’industria dei semiconduttori, e quindi dei microchip, è uno dei principali piani di scontro tra le due superpotenze. Ciò nasce dal fatto che da questa tecnologia ormai passa un po’ tutto, dai telefoni ai computer, dai missili ai sistemi anti-missili, dall’economia alla sicurezza. Gli Stati Uniti, da cui proviene la maggior parte della tecnologia, vedono nel limitare l’accesso cinese ai semiconduttori un modo per rafforzare la propria sicurezza nazionale e allo stesso tempo indebolire l’avversario. Impedire l’accesso alla componenti dei microchip – che si parli di know-how o di materiali e componenti – risponde ad un doppio obiettivo, dove i due elementi sono profondamente collegati: vincere la corsa per la leadership tecnologica e, dunque, mantenere quella militare.
Da ottobre 2022 l’amministrazione Biden ha introdotto delle norme che impediscono ai produttori di apparecchiature per semiconduttori di vendere determinati strumenti alla Cina; inoltre, è stata vietata anche l’esportazione di alcuni chip utilizzati per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Per quanto a queste misure sia stato affiancato un piano da miliardi di dollari a supporto dell’industria nazionale, il contraccolpo per le aziende statunitensi è stato duro. Molte di loro, come nel caso di Applied Materials Inc., hanno visto i loro ricavi e le loro previsioni di guadagno scendere per miliardi di dollari.
Le restrizioni – che sembrano destinate ad ampliarsi sempre di più nei prossimo mesi – stanno restringendo l’accesso ad uno dei mercati più cruciali per lo sviluppo di queste aziende. La Cina è attualmente leader nella produzione di macchine elettriche, pannelli solari e mantiene larghe quote di mercato nella vendita di smartphone e di computer. Per tutto ciò, servono i microchip e tutto ciò che compone il loro processo produttivo. Non è un caso che Qualcomm, società statunitense di ricerca e sviluppo nel campo delle telecomunicazioni, ottenga oltre il 60% delle entrate dalla Cina, fornendo componenti a produttori di smartphone come Xiaomi Corp.
Se da un lato le misure varate dal governo Usa hanno l’obiettivo di mettere in difficoltà Pechino, le aziende statunitensi sostengono che essere esclusi dal loro mercato più profittevole danneggerà anche la loro capacità di investire in ricerca e sviluppo, quindi nel progresso della loro tecnologia. Il risultato rischia di essere un danno – autoinflitto – alla leadership tecnologica degli Usa.
“Business” o “non-business”, questo è il dilemma
Ad oggi, è difficile pensare ad un piano politico su cui Cina e Stati Uniti possono incontrarsi. Sembrano in disaccordo su tutto. Vedono le relazioni internazionali in modo diametralmente opposto e desiderano due equilibri mondiali totalmente diversi e incompatibili. Entrambi considerano gli interessi del proprio avversario come una minaccia alla propria sicurezza. A livello economico, però, la situazione è molto diversa. Lo dimostra lo scetticismo mostrato dalle aziende statunitensi davanti all’ipotesi di un decoupling dal Dragone d’oriente; lo dimostra l’accoglienza a braccia aperte che Pechino riserva alle figure economiche che vi fanno visita, come è accaduto con i guru del tech Bill Gates e Musk. Cina e Stati Uniti sanno di essere entrambe un ingranaggio chiave del sistema del proprio antagonista. Infatti, nonostante le restrizioni su industrie strategiche e sensibili per la sicurezza, le due parti hanno mantenuto una forte interconnessione economica. Commerciano, finanziano le rispettive imprese e creano applicazioni, prodotti e film per i consumatori di entrambi i Paesi. Il tutto è fortemente in antitesi con l’attuale stato della loro relazione politica.
Sarà interessante vedere se i Ceo delle aziende Usa, portando le loro istanze e preoccupazioni alla Casa Bianca, riusciranno in ciò in cui finora la diplomazia ha fallito: allentare le tensioni tra Pechino e Washington.
Le più importanti aziende statunitensi di semiconduttori non sono contente di come sta andando il rapporto tra il loro Paese e la Cina. La prossima settimana i loro rispettivi dirigenti dovrebbero recarsi a Washington, alla Casa Bianca, per parlare esporre le proprie preoccupazioni direttamente ai funzionari dell’amministrazione Biden. La notizia è stata riportata da Reuters e Bloomberg, citando fonti interne anonime.