Gli Stati Uniti continuano ad armare Taiwan per scoraggiare un’azione di Pechino. Il pacchetto di aiuti militari, però, stimola il risentimento tra le due superpotenze, che già dialogano a fatica
Gli Stati Uniti invieranno 345 milioni di dollari in aiuti militari a Taiwan per dissuadere – o nel caso, affrontare – un potenziale attacco della Repubblica Popolare Cinese. L’annuncio è arrivato venerdì 28 luglio e, ovviamente, ha fatto infuriare Pechino.
Si tratta del primo grande pacchetto militare, fornito dall’amministrazione Biden a Taipei, sfruttando la Presidential Drawdown Authority. Quest’ultima è una misura di emergenza, che autorizza il Presidente Usa ad approvare il trasferimento di articoli e servizi – nello specifico, armi e servizi – direttamente dalle scorte statunitensi, senza passare da un via libera del Congresso. Nella pratica, dunque, Taiwan non dovrà aspettare la produzione e la vendita di queste armi, che saranno consegnate in tempi molto più rapidi. La stessa autorità emergenziale è stata fino ad ora usata per fornire miliardi di dollari in munizioni e armi all’esercito Ucraino per resistere all’invasione russa.
Secondo l’annuncio della Casa Bianca, il pacchetto comprenderà articoli militari per la difesa, nonché istruzione e formazione per i taiwanesi. Non si entra nei dettagli di cosa verrà fornito. I media, però, hanno riportato alcune indiscrezioni: secondo due funzionari statunitensi che hanno parlato in anonimato, Washington invierà sistemi di difesa aerea portatili, sistemi di intelligence e sorveglianza, armi da fuoco e missili; secondo altre fonti anonime, il pacchetto avrebbe dovuto includere quattro droni da ricognizione MQ-9A disarmati, ma questi potrebbero essere stati esclusi in quanto attrezzature avanzate ad utilizzo esclusivo dell’aeronautica statunitense.
Il pacchetto fa parte del bilancio da 1 miliardo di dollari, approvato dal Congresso, di aiuti militari da fornire a Taiwan sotto la Presidential Drawdown Authority. Inoltre, arriva dopo che gli Stati Uniti hanno approvato la vendita a Taipei di vari F-16 e altri importanti sistemi d’arma, per un valore di circa 19 miliardi. La consegna di queste armi, però, avvenuta secondo le normali procedure, ha subito vari ritardi a causa di problemi di disgregazione e pressione sulla catena del valore globale, dovuti a Covid-19 e alla guerra in Ucraina.
Una Cina, due reazioni?
Il Ministero della Difesa di Taiwan ha ringraziato gli Stati Uniti per il loro “fermo impegno per la sicurezza” dell’isola, aggiungendo che non è necessario un commento approfondito dei dettagli del pacchetto poiché vi è un “tacito accordo” tra le due parti. Dall’altra parte dello stretto, invece, la reazione è stata opposta. Liu Pengyu, portavoce dell’ambasciata cinese a Washington, ha dichiarato che Pechino è “fermamente contraria” ai legami militari degli Stati Uniti con Taiwan. Liu ha detto che gli Stati Uniti dovrebbero “smettere di vendere armi a Taiwan” e “smettere di creare nuovi fattori che potrebbero portare a tensioni nello Stretto di Taiwan”. Ciò che a Taiwan viene visto come un rafforzamento della propria sicurezza, in Cina appare come una minaccia. Quando a maggio 2023 si era sparsa per la prima volta la notizia di un probabile invio di armi sotto la Presidential Drawdown Authority, il Global Times – un tabloid di partito – aveva avvertito che il piano rischiava di trasformare l’isola in una polveriera. Secondo il tabloid, queste mosse provocatorie degli Stati Uniti hanno il solo obiettivo di contenere l’ascesa cinese, anche a scapito della sicurezza dei taiwanesi. Ciò rappresenta la retorica della Cina continentale: gli Stati Uniti portano avanti i loro interessi a discapito degli altri.
Imparare la lezione
L’invio di questo pacchetto non fa altro che aumentare le tensioni tra Cina e Stati Uniti. Nell’ultimo periodo, c’era stata una timida ripresa dei dialoghi, anche ad alti livelli. Ma questa mossa spinge nella direzione opposta di un riavvicinamento tra le parti. Molti direbbero però che in realtà, nonostante i dialoghi recenti, un riavvicinamento non ci sia mai stato. La tensione rimane alta.
Per gli Stati Uniti armare Taiwan vuol dire far vedere che la lezione ucraina è stata appresa. Ad oggi, Washington è il grande sponsor dietro la resistenza Ucraina. Miliardi di dollari per permettere agli Ucraini di resistere all’invasione dell’esercito Russo, molto più grande e, inizialmente, equipaggiato. Forse, se gli Ucraini fossero stati armati prima, l’invasione non ci sarebbe stata. Non lo si può sapere, ma nel dubbio questa volta non si vuole rifare lo stesso errore. Soprattutto perché di fronte non si avrebbe una potenza decadente come la Russia – seppur armata con testate nucleari – ma un paese come la Cina, che ogni anno diventa più forte e influente, sia a livello militare che economico e geopolitico. Quindi, meglio giocare di anticipo.
Inoltre, diversamente da Kiev, Taipei è un nodo cruciale della catena del valore globale. Soprattutto, è indispensabile per la produzione di semiconduttori, la componente che ormai manda avanti il mondo, letteralmente. Dalla lavatrice ai pannelli solari, dal nostro smartphone ai missili dell’esercito: tutto incorpora i microchip, e quindi semiconduttori. Taiwan ne produce oltre il 60% del totale a livello mondiale e oltre il 90% di quelli più avanzati. Anzi, finora i più avanzati sono stati prodotti solo a Taiwan. Affermarsi in questo settore è stata la grande assicurazione di Taipei per la sua sopravvivenza da stato indipendente. Ma, allo stesso tempo, rappresenta la grande fragilità del sistema globale che, se ci fosse una guerra tra le due entità dello stretto, si troverebbe scoperto.
Ambiguità (strategiche)
Il triangolo Cina-Taiwan-Usa è fatto di ambiguità. Gli Stati Uniti aderiscono alla “politica dell’unica Cina” in base alla quale non riconoscono l’indipendenza formale di Taiwan e non hanno relazioni diplomatiche formali con l’isola per ossequio a Pechino. Vi è però molta differenza rispetto al “principio dell’unica Cina” a cui aderisce invece Pechino. Infatti, gli Stati Uniti nella pratica intrattengono profondi rapporti economici e politici con Taiwan, e più di una volta si son detti anche pronti ad intervenire per difenderne l’indipendenza. La legge statunitense supporta una difesa credibile di Taiwan e il fatto che tutte le minacce all’isola siano trattate come questioni di “grave preoccupazione”.
Nel mezzo dei due fuochi, ci sono i cittadini taiwanesi, fieri della propria indipendenza e di aver sviluppato un’identità propria, ma anche desiderosi di mantenere un rapporto “civile” con il grande, armato, vicino cinese. Dalla Cina continentale dipende anche profondamente l’economia dell’isola. Una situazione ambigua, che con il passare del tempo diventa sempre più instabile. Gran parte di cosa accadrà in futuro però, non dipende solo dalle due superpotenze, Usa e Cina, ma anche dalle scelte elettorali che faranno i cittadini di Taiwan nelle elezioni presidenziali del 2024. A contendersi la presidenza saranno l’attuale vicepresidente filoamericano Lai Ching-te e il candidato del partito filocinese Kuomintang. In ogni caso, l’isola è destinata a rimanere sotto i riflettori internazionali.
Gli Stati Uniti invieranno 345 milioni di dollari in aiuti militari a Taiwan per dissuadere – o nel caso, affrontare – un potenziale attacco della Repubblica Popolare Cinese. L’annuncio è arrivato venerdì 28 luglio e, ovviamente, ha fatto infuriare Pechino.