Travolto dalla crisi e con le elezioni presidenziali alle porte, il governo venezuelano riattiva la causa nazionale dell’Esequibo, territorio ricco di risorse naturali conteso con la Guyana. Una mossa che in America Latina e a Washington desta preoccupazione.
Dopo la vittoria del Si al referendum consultivo indetto in Venezuela sulla sovranità sull’Esequibo, regione contesa con la vicina Guyana, il governo di Nicolás Maduro ha già decretato la creazione di una serie di istituzioni per la virtuale gestione del territorio e delle sue ricche risorse.
In una cerimonia roboante, Maduro ha determinato la creazione dello Stato dell’Esequibo, ventiquattresimo stato della Repubblica Bolivariana del Venezuela, e la modifica della mappa ufficiale venezuelana per includere il territorio amazzonico, di cui ha nominato il Maggiore Generale Alexis Rodríguez Cabello come “autorità unica”.
La compagnia petrolifera statale PDVSA potrà, per decreto, iniziare l’esplorazione e l’estrazione di idrocarburi nella regione, e i circa 125.000 abitanti dell’Esequibo, cittadini a tutti gli effetti della Guyana, otterranno a breve i documenti venezuelani.
Le misure sarebbero legittimate dal risultato del referendum di domenica 3 dicembre, dove il 50,5% degli aventi diritto, circa 10 milioni di venezuelani, hanno approvato a larga maggioranza i cinque quesiti proposti dall’esecutivo per “risolvere” la secolare controversia sulla regione sudorientale pretesa dal Venezuela sin dalla sua creazione.
La rivendicazione della sovranità sulla Guyana Esequiba è una vertenza particolarmente sentita in Venezuela. La sua trasversalità politica si è dimostrata anche in occasione del referendum di domenica, che ha ricevuto il beneplacito anche della Conferenza Episcopale Venezuelana, e l’opposizione, seppur consideri l’appuntamento elettorale una farsa tesa a legittimare il governo di Maduro, si è espressa in più di un’occasione a favore della causa dell’Esequibo.
La contesa infatti risale ai tempi dell’indipendenza stessa del paese, ed è parte integrale della sua identità nazionale. La Spagna aveva incluso i quasi 160 mila chilometri quadrati dell’Esequibo nel Capitanato Generale del Venezuela ai tempi della colonia, come un cuscinetto di separazione dai domini olandesi – che costituiscono oggi il Suriname e appunto la Guyana -. Il primo governo indipendente sancì la sua integrazione al territorio venezuelano nella costituzione del 1810. Ma col passaggio a mani britanniche delle colonie olandesi nella zona nordorientale del Sudamerica a partire dal 1814, l’Esequibo venne integrato alla Guyana Britannica, dando origine alle proteste da parte di Caracas.
Nel 1899, con il patrocinio degli Stati Uniti, venne firmato a Parigi un accordo che riconosceva la sovranità britannica sul territorio conteso, ma Caracas non ha mai riconosciuto la legittimità dell’accordo: i rappresentanti venezuelani infatti furono designati da Washington in modo da favorire gli interessi di Londra.
Con l’indipendenza della Guyana nel 1966 si aprì un nuovo capitolo nella disputa: i due governi firmarono a Ginevra un’intesa per aprire un negoziato sulla sovranità dell’Esequibo. Che però non risolse il problema di fondo, e nel 1982 il Venezuela abbandonò le trattative.
La Guyana, che vuole riconosciuti i limiti dell’Accordo di Parigi del 1899, ha di fatto esercitato la propria sovranità sul territorio conteso, concedendo anche contratti per l’esplorazione di idrocarburi nell’entroterra e nella piattaforma marina adiacente.
Nel 2015 la compagnia statunitense Exxon Mobil ha confermato la presenza di ingenti giacimenti di petrolio e gas. Il Blocco Stabroek, sul fondale Atlantico della costa dell’Esequibo, è la seconda maggior area inesplorata al mondo in cui il Servizio Geologico degli Stati Uniti ha confermato la presenza di greggio.
I cinque quesiti sottoposti ai votanti venezuelani domenica scorsa avevano l’obiettivo di confermare la posizione venezuelana sulla questione: rifiuto dell’accordo di Parigi del 1899, la ripresa della vertenza iniziata con gli accordi di Ginevra del 1966, il rifiuto dell’intervento della Corte internazionale di giustizia e la richiesta di interrompere l’estrazione di gas e petrolio da parte della Guyana finchè la controversia non sia risolta.
Tutte rivendicazioni che molto difficilmente potrebbero essere rifiutate dai venezuelani. Per questo, a livello locale ed internazionale, l’indizione del referendum era stata vista come un tentativo del governo di strumentalizzare a proprio favore una questione profondamente sentita dall’elettorato. Che ha comunque partecipato in modo molto più massiccio rispetto alle attese.
Il referendum è stato indetto in un momento molto particolare dell’attualità venezuelana. Immerso in una crisi da cui sembra non riuscire ad uscire, il governo Maduro ha recentemente concordato con l’opposizione e con il governo degli Stati Uniti la celebrazione di elezioni presidenziali, previste per il prossimo 21 marzo.
L’accordo tripartito accontenta tutti. Washington ottiene una scusa per giustificare il cambiamento di rotta sulla questione venezuelana e riaprire così i rubinetti del greggio venezuelano. Maduro si assicura un allentamento delle sanzioni degli Usa per dare un respiro all’economia nazionale. E l’opposizione ottiene le garanzie che attendeva per presentarsi unificata ad un’elezione che, sulla carta, ha molte possibilità di vincere.
Il referendum di domenica 3 dicembre però rappresenta anche una mossa del governo per recuperare consenso in vista delle presidenziali, e aprire un fronte in cui mettere in difficoltà la destra: opporsi all’annessione – seppur solo retorica – dell’Esequibo equivarrebbe a obiettare una causa nazionale.
La possibilità di un’incursione venezuelana nel territorio conteso a partire dal risultato del referendum, sebbene per ora remota, preoccupa l’America Latina. Il Brasile, che confina con entrambi i paesi, ha rafforzato la propria presenza militare nella regione. Il governo della Guyana ha messo in allerta massima le proprie forze armate e ha chiesto il sostegno del South Command della Marina degli Stati Uniti, con cui dal 2019 realizza pattugliamenti congiunti nelle coste atlantiche.
Dal Dipartimento di Stato sono giunte ulteriori critiche alla realizzazione del referendum di domenica, e vista la presenza di interessi di importanti aziende statunitensi, si attende un maggior coinvolgimento Usa nella vicenda se dovesse subire un’escalation.
Dopo la vittoria del Si al referendum consultivo indetto in Venezuela sulla sovranità sull’Esequibo, regione contesa con la vicina Guyana, il governo di Nicolás Maduro ha già decretato la creazione di una serie di istituzioni per la virtuale gestione del territorio e delle sue ricche risorse.