La Dasgupta Review, commissionata dal Governo britannico, sostiene che le scienze economiche debbano ragionare sull'impatto economico della perdità di biodiversità
La Dasgupta Review, commissionata dal Governo britannico, sostiene che le scienze economiche debbano ragionare sull’impatto economico della perdità di biodiversità
Il consumo delle risorse naturali come immane e irreparabile danno all’economia. In una riga è questa la Dasgupta Review, un rapporto di 600 pagine commissionato dal Dipartimento del Tesoro britannico che porta il nome dell’economista di Cambridge che ha coordinato il lavoro.
Sono passati molti anni dalla discussione aperta da alcune agenzie Onu su quali siano gli indicatori migliori per valutare lo stato di salute di un’economia, sulla necessità di non guardare solo al Pil ma prendere in considerazione il livello di disoccupazione, l’accesso ad alcuni servizi di base, la distribuzione della ricchezza. Questo rapporto segna un altro passaggio importante: la necessità di tenere conto dell’ecosistema nella contabilità economica e, dunque, nel processo decisionale. Nel testo un forte richiamo ai Governi affinché immaginino una contabilità nazionale che includa il consumo delle risorse naturali.
“Governare la crescita e avere uno sviluppo economico sostenibile significa riconoscere che la nostra prosperità a lungo termine si basa sul riequilibrio tra la nostra domanda di beni e servizi della natura e la sua capacità di fornirli. Significa anche contabilizzare l’impatto delle nostre interazioni con la natura a tutti i livelli della società. Il Covid-19 ci ha mostrato cosa può succedere quando non lo facciamo. La natura è la nostra casa. Una buona economia richiede che la gestiamo meglio”, scrive l’economista di origini indiane nell’introduzione.
L’interessante e importante di questo rapporto sta nel fatto che a commissionarli sia un Ministero per l’Economia, tra l’altro a guida conservatrice, e non un’agenzia minore che si occupa di ambiente. Non siamo a un cambio di politiche, ma quanto meno siamo a un passaggio in termini di sguardo e analisi del mondo che le politiche economiche devono provare a governare – e far sopravvivere, viene da dire.
L’altro elemento importante è il timing del rapporto, che viene pubblicato nel momento in cui gli Stati Uniti tornano negli accordi di Parigi: lo zar per l’ambiente di Biden, John Kerry, dice che “l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura a 1,5˚ è appropriato, ma gli impegni dei Paesi presi con gli accordi di Parigi sono insufficienti per ottenerlo”. A novembre, la Gran Bretagna ospiterà la United Nations Climate Change Conference(COP26), e anche questo è un particolare importante: il Paese la cui immagine è resa opaca dalla Brexit e dalla pessima gestione della pandemia, ha una chance di ritrovare smalto ottenendo risultati. E il Foreign Office, tutto sommato, ha relazioni tradizionalmente strette con Paesi importanti come l’India o il Sudafrica.
Cosa c’è scritto nel rapporto
Come ciascun rapporto sullo stato del pianeta Terra, la Dasgupta Review non è una bella lettura: “La biodiversità sta diminuendo più velocemente che in qualsiasi momento della storia umana. Gli attuali tassi di estinzione, per esempio, sono da 100 a 1000 volte più alti del tasso di base, e stanno aumentando. Questo declino mina la produttività, la resilienza e l’adattabilità della natura, e a sua volta alimenta rischi e incertezza per l’economia e il nostro benessere”. Inutile riportare alcuni dati sulla perdita di biodiversità. Il punto interessante del rapporto è la prospettiva: “La natura è un bene, proprio come il capitale prodotto (strade, edifici e fabbriche) e il capitale umano (salute, conoscenza, talenti) sono beni. Come l’istruzione e la salute, tuttavia, la natura è più di un bene economico (…) La biodiversità permette alla natura di essere produttiva, resiliente e adattabile. Proprio come la diversità all’interno di un portafoglio di attività finanziarie riduce il rischio e l’incertezza, così la diversità all’interno di un portafoglio di attività naturali aumenta la resilienza della natura agli shock (…) Ridimensiona la biodiversità e la natura e l’umanità ne patiranno le conseguenze”. Le politiche pubbliche, però, segnala il rapporto, tendono fornire incentivi e sussidi per distruggere le risorse naturali, non per conservarle.
Per farci sentire meno sgomenti di fronte al quadro disegnato, il rapporto fornisce delle ipotesi di politiche. Si va dalle grandi questioni come l’educazione all’ambiente in senso molto ampio, alla necessità di ripensare la produzione di cibo. La tecnologia e l’agricoltura di precisione possono aiutare. Ma va ridotto il consumo eccessivo di alcuni prodotti (il primo: la carne di manzo). Poi la demografia e la necessità di farsi carico collettivamente della conservazione di alcuni asset naturali essenziali alla sopravvivenza del pianeta. Tradotto: dovremmo rendere la conservazione dell’Amazzonia una fonte di reddito per il Brasile. Cambiare modo di pensare all’economia e al nostro rapporto con il luogo che abitiamo è la sfida del futuro. Abbiamo appena iniziato, speriamo di essere in tempo.
La Dasgupta Review, commissionata dal Governo britannico, sostiene che le scienze economiche debbano ragionare sull’impatto economico della perdità di biodiversità
Il consumo delle risorse naturali come immane e irreparabile danno all’economia. In una riga è questa la Dasgupta Review, un rapporto di 600 pagine commissionato dal Dipartimento del Tesoro britannico che porta il nome dell’economista di Cambridge che ha coordinato il lavoro.
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