I conservatori non sono stati gli unici sconfitti, gli indipendentisti scozzesi hanno conquistato pochissimi seggi, un crollo verticale: dai 48 della scorsa legislatura ai 9 attuali. Notevole anche il risultato del partito di estrema destra Reform di Nigel Farage, terzo nel voto popolare.
Non è complicato interpretare i risultati delle elezioni che si sono tenute giovedì 4 luglio, nel Regno Unito. La vittoria dei laburisti è stata schiacciante e storica, portando il partito ad ottenere una solida maggioranza con 412 seggi, ben di più di quelli necessari per governare autonomamente. Per i conservatori, invece, il voto si è trasformato in una disfatta, resa ancor più evidente dal sistema maggioritario inglese. Pur rimanendo il secondo partito e venendo votati da un quarto degli elettori, i tories hanno ottenuto soltanto 121 seggi, perdendone oltre 250 rispetto al 2019.
I risultati dei primi due partiti, che sono stati eccezionali in un verso o in quello opposto, rischiano però di oscurare quanto fatto dalle altre formazioni politiche nel Regno Unito. Oltre ai laburisti, tra i vincitori è necessario contare anche Reform, il partito di estrema destra guidato da Nigel Farage: questo ha ottenuto un solo seggio, ma si è posizionato terzo nel voto popolare, con un risultato eccezionale per il sistema bipolare britannico. Anche i Liberaldemocratici e i Verdi hanno ottenuto un alto numero di voti. Mentre tra gli sconfitti va considerato senza dubbio anche lo Scottish National Party (SNP), il partito degli indipendentisti scozzesi.
Per i nazionalisti scozzesi, il crollo è stato verticale: lo SNP ha conquistato soltanto 9 seggi, meno di un quinto rispetto ai 48 su cui poteva contare nella scorsa legislatura. Ma più ancora della contrazione rispetto al 2019, ad essere dolorosa è la sensazione che per la formazione la crisi sia generale, non limitata a questo singolo voto. E che il periodo in cui il partito ha dominato la politica scozzese possa essersi ormai concluso.
Già alla vigilia del voto, i sondaggi davano gli indipendentisti in difficoltà, insidiati da un partito laburista che era tornato forte anche in Scozia, come non accadeva dal lontano 2010. Tuttavia, i leader indipendentisti speravano che i due partiti potessero finire alla pari e non credevano che il voto potesse trasformarsi in una disfatta. Così è stato, invece. Lo SNP ha tenuto a nord, ma ha ceduto ai laburisti in tutto il central belt, l’area più popolata. Facendo sì che il partito di Keir Starmer ottenesse una chiara vittoria anche in Scozia, conquistando 37 seggi.
“Dovremo fare un esame di coscienza come partito” ha dichiarato alla BBC il leader dello SNP, John Swinney. “In un certo senso le persone si sono disamorate di noi e dobbiamo chiederci perché” ha aggiunto Ian Blackford, un membro di spicco della formazione.
La sconfitta dei nazionalisti scozzesi ha ovviamente molto a che fare con quanto successo a livello nazionale. Ovunque, anche in Scozia, gli elettori erano determinati a mettere un punto all’era conservatrice, che durava da ormai 15 anni, e il modo più semplice per farlo era dare il proprio consenso al partito laburista. A questo si è aggiunto il fatto che, dopo anni, i laburisti fossero tornati ad essere credibili e potessero contare in Scozia su un leader giovane e dinamico, Anas Sarwar.
Allo stesso tempo, però, sarebbe sbagliato attribuire il pessimo risultato soltanto alle dinamiche esterne. Il consenso dei nazionalisti è stato eroso dagli scandali che hanno coinvolto il partito, dalle divisioni interne e dall’incapacità di trovare una leadership credibile, dopo l’uscita di scena di Nicola Sturgeon.
Soprattutto, però, l’indipendenza della Scozia non sembra essere più una priorità, per gli elettori. La maggioranza degli scozzesi rimane a favore di una separazione dal Regno Unito. Ma al momento la questione è molto meno rilevante rispetto ad altre, in primis la necessità di abbassare il costo della vita. È naturale che lo SNP sia danneggiato da questo cambiamento, dopo che per anni l’indipendenza ha rappresentato il principale cavallo di battaglia del partito. Così come, in parte, ad essere danneggiati sono anche i conservatori, che a lungo hanno raccolto i voti di chi voleva invece restare nel Regno.
Non è complicato interpretare i risultati delle elezioni che si sono tenute giovedì 4 luglio, nel Regno Unito. La vittoria dei laburisti è stata schiacciante e storica, portando il partito ad ottenere una solida maggioranza con 412 seggi, ben di più di quelli necessari per governare autonomamente. Per i conservatori, invece, il voto si è trasformato in una disfatta, resa ancor più evidente dal sistema maggioritario inglese. Pur rimanendo il secondo partito e venendo votati da un quarto degli elettori, i tories hanno ottenuto soltanto 121 seggi, perdendone oltre 250 rispetto al 2019.
I risultati dei primi due partiti, che sono stati eccezionali in un verso o in quello opposto, rischiano però di oscurare quanto fatto dalle altre formazioni politiche nel Regno Unito. Oltre ai laburisti, tra i vincitori è necessario contare anche Reform, il partito di estrema destra guidato da Nigel Farage: questo ha ottenuto un solo seggio, ma si è posizionato terzo nel voto popolare, con un risultato eccezionale per il sistema bipolare britannico. Anche i Liberaldemocratici e i Verdi hanno ottenuto un alto numero di voti. Mentre tra gli sconfitti va considerato senza dubbio anche lo Scottish National Party (SNP), il partito degli indipendentisti scozzesi.