Marine Le Pen perde l’ennesimo ballottaggio e riconsegna dunque la Francia all’Europa
Pericolo scampato. La vittoria di Emmanuel Macron contro Marine Le Pen è una buona notizia per i francesi, ma lo è altrettanto per tutti noi europei. Lo spettro di una leader sovranista a guidare la seconda potenza europea e l’unica potenza nucleare dell’Unione ha agitato non poco il sonno dei vertici di Bruxelles e di tutti noi.
Marine Le Pen è arrivata al 42% dei consensi, un risultato storico per lei e per l’estrema destra in Francia. Macron ha ottenuto 18,7 milioni di voti, Le Pen 13,3. Cinque anni fa, la signora dell’ultradestra, aveva perso prendendo la metà dei voti del leader de la Republique en marche.
La figlia dell’ex parà Jean-Marie, fondatore del Front National, oggi Rassemblement National, ha scelto una campagna elettorale dai toni inaspettatamente moderati. Ha cercato di accreditarsi come “la donna di Stato”, lasciando all’opinionista Eric Zemmour i discorsi più accesi e radicali e provando a scrollarsi di dosso l’immagine di eterna impresentabile.
“Frexit non è in programma” ha dichiarato in campagna elettorale, forse memore del fatto che furono proprio le sue dichiarazioni sull’uscita della Francia dall’euro a spaventare gli elettori nel 2017. In realtà, dietro l’immagine tranquillizzante, Marine ha continuato a sciorinare la sua vulgata sovranista: basta Schengen e libera circolazione, riduzione del contributo alla Ue, referendum sulla “preferenza nazionale” che privilegia le assunzioni dei francesi. “Rifaremo la Ue dall’interno” ha dichiarato più volte, che altro non vuol dire se non azzerare i poteri della Commissione, riducendola a un ufficio di registrazione delle decisioni degli Stati nazionali. E invece, il referendum sull’Europa lo ha vinto Emmanuel Macron.
Tutti i rappresentanti di Bruxelles, dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen alla Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, si sono congratulati con il vincitore, sottolineando il significato europeista del risultato elettorale.
Lo hanno fatto anche i leader delle principali democrazie liberali europee. Nei giorni prima del ballottaggio, alcuni di loro, con una mossa abbastanza inusuale, si sono rivolti direttamente ai francesi. Scholz, Sanchez e Costa, primi ministri di Germania, Spagna e Portogallo, sul forum di Le Monde, hanno esortato gli elettori a non affidarsi a un candidato di estrema destra schierato apertamente “con coloro che attaccano la nostra libertà e la nostra democrazia”. Un chiaro riferimento non solo all’anti-europeismo di Le Pen, ma anche alla sua passione per Vladimir Putin (che ha tanti estimatori anche tra i sovranisti di casa nostra), frettolosamente rinnegato per non guastare una campagna elettorale dai toni light. L’amicizia pericolosa con il Capo del Cremlino è stata argomento anche del dibattito televisivo tra i due leader, con Le Pen in difficoltà quando Macron ha accennato ai passati finanziamenti russi alla sua campagna elettorale del 2017.
Certamente, il rapporto con la Russia e la guerra in Ucraina saranno fra i temi importanti dell’agenda estera del Presidente francese. Il dinamismo diplomatico di Macron in queste settimane di guerra, sebbene non abbia portato ai risultati sperati (cioè ad una tregua), ha rimesso al centro la questione dell’autonomia strategica dell’Europa, tema assai caro al leader de la Republique en marche. L’Europa, rispetto a quando Macron venne eletto per la prima volta, è certamente più forte e più unita. L’Ue è passata attraverso l’esperienza della pandemia, che ne ha rimodulato gli equilibri e che, pur nelle difficoltà, ha dato nuova linfa al progetto unitario. Allo stesso tempo, però, l’Unione europea adesso ha di fronte a sé alcune sfide che ne mettono a rischio la stabilità. Nonostante gli sforzi fatti da Bruxelles per parlare a una sola voce, l’Ue non è stata in grado, in questa durissima crisi che ha riportato la guerra nel continente europeo, di imporre la propria visione e i prossimi mesi saranno cruciali per provare a far ripartire il progetto di unità europea. Il conflitto in Ucraina, che ha dato nuova centralità al ruolo degli Stati Uniti in Europa, dovrà trovare leader europei capaci di dare rinnovato impulso a una politica di autonomia strategica continentale. Dal punto di vista della difesa, la grande ambizione di Macron è sempre stata la nascita dell’esercito europeo. “Non proteggeremo gli europei se non decidiamo di avere un vero esercito europeo…dobbiamo avere un’Europa che si difenda maggiormente da sola, senza dipendere solo dagli Stati Uniti”, dichiarò il Presidente francese già nel 2018, in tempi di pace.
Un elemento ancora più centrale oggi, con la guerra dentro casa e con Washington a dettare le regole del gioco, tanto più che le elezioni di mid-term americane, sondaggi alla mano, potrebbero riportare in auge quel partito repubblicano ancora sedotto dal trumpismo e dall’America first.
Nonostante le intenzioni ultraeuropeiste, è innegabile che Parigi, nel quinquennio trascorso, abbia avuto diverse difficoltà a trovare le necessarie convergenze con gli altri paesi europei. Molti nodi, da cui dipende il futuro dell’Unione, rimangono ancora da sciogliere e molto lungo il lavoro da fare affinché l’Europa possa produrre una politica estera unitaria capace di rafforzare la propria posizione sullo scacchiere geopolitico mondiale. Su varie questioni di cruciale importanza per la sicurezza europea (vedi la Libia), molti sono i contrasti irrisolti ancora in corso; e le iniziative unilaterali di Macron, senza consultare i partner europei, hanno contribuito ad acuire le divergenze. In questo periodo difficile e doloroso, tuttavia, le democrazie liberali hanno dimostrato di avere in seno gli anticorpi giusti per difendersi dalle emergenze. Il Presidente francese ha ora la possibilità di imprimere una svolta storica al processo di integrazione europea e dunque al protagonismo internazionale di tutti noi.
Macron ha definito queste elezioni un referendum sull’Europa e i cittadini francesi hanno fatto una scelta chiara. Ma il Presidente francese ha anche sfide interne determinanti: intanto, deve affrontare elezioni legislative tra un mese (l’unica vera stortura della legge elettorale francese, che separa le presidenziali dalle politiche), in vista delle quali deve recuperare i consensi del paese rurale, che sono andati a Le Pen (20mila comuni per lei, contro 11mila al Presidente) e delle minoranze etnico-religiose, che hanno votato Melenchon. Ma soprattutto, deve convincere un paese abituato alle tutele che, per tornare ad essere competitivi sul mercato internazionale, bisogna rinunciare a mille prerogative da Stato del ‘900 e rimboccarsi le maniche, tornando ad attirare competenze ed eccellenze del terzo millennio, approfittando della deriva post Brexit, che sta creando la più grande migrazione di professioni dell’ultimo secolo. Nella misura in cui i Francesi seguiranno Emmanuel in questa sfida epocale, spogliandosi dei Gilet gialli della protesta retrograda, il neo rieletto Presidente avrà la forza anche di affermare il protagonismo internazionale che noi cittadini europei ci auguriamo possa canalizzare nel rilancio del processo di integrazione.
Fra pochi mesi, sarà il turno degli Italiani: anche da noi dipenderà il futuro dell’Europa.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
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Pericolo scampato. La vittoria di Emmanuel Macron contro Marine Le Pen è una buona notizia per i francesi, ma lo è altrettanto per tutti noi europei. Lo spettro di una leader sovranista a guidare la seconda potenza europea e l’unica potenza nucleare dell’Unione ha agitato non poco il sonno dei vertici di Bruxelles e di tutti noi.