La formazione di un Governo di unità nazionale mostra l'inedita convergenza tra partiti politici centrali e milizie armate. Si rischia lo scontro aperto
La formazione di un Governo di unità nazionale mostra l’inedita convergenza tra partiti politici centrali e milizie armate. Si rischia lo scontro aperto
Ogni anno, nel mese di aprile, in Myanmar ricorre il Thingyan, il capodanno che celebra la tradizione buddhista del Paese. Quest’anno, la giunta militare protagonista del golpe dello scorso 1° febbraio ha deciso di festeggiare liberando 23mila e 184 prigionieri dalle carceri. Un’amnistia nella quale però non sono coinvolti, se non con poche eccezioni, gli attivisti che da oltre due mesi e mezzo manifestano per il ripristino della democrazia e il rispetto dell’esito delle elezioni dello scorso novembre. Tra i rilasciati anche 137 cittadini stranieri che sono stati o verranno deportati.
Al contrario, continuano gli arresti dei birmani che protestano contro il regime, fisicamente o attraverso prese di posizione pubbliche. Tra di loro anche la regista Christina Kyi, fermata (e poi rilasciata) insieme al marito e attore Zenn Kyi mentre si stava per imbarcare su un volo per Bangkok. Aung San Suu Kyi resta invece ai domiciliari e le accuse nei suoi confronti aumentano. Se fosse condannata per violazione di segreti di Stato rischierebbe fino a 14 anni di carcere.
Il Governo di unità nazionale
Nel frattempo, nei giorni scorsi è stata annunciata, da parte del Comitato di Rappresentanza dell’Assemblea dell’Unione (ossia il Parlamento birmano), la formazione di un Governo di unità nazionale e di un esercito federale. All’interno ci sono esponenti della Lega Nazionale per la Democrazia ma anche rappresentanti delle minoranze etniche e dei gruppi armati attivi su base regionale. Il Presidente U Win Mynt e il Consigliere di Stato Aung San Suu Kyi mantengono virtualmente il loro ruolo, ma le posizioni di premier e vicepremier saranno occupate da esponenti delle minoranze Karen e Kachin. Il programma che è riuscito a unire anime molto diverse tra loro si basa ovviamente quello della ribellione contro il golpe dell’esercito e sul disconoscimento della Costituzione del 2008 che si vuole sostituire, nel medio periodo, con una nuova Carta che strutturi il Myanmar su base federale. Un vecchio programma mai pienamente realizzato per le tensioni mai risolte con le minoranze.
La composizione di un “Governo ombra” ha una doppia importante conseguenza. Sul piano interno, manda un messaggio chiaro al Tatmadaw, che potrebbe essere costretto a vedersela sul campo non solo con le proteste della comunità civile ma anche con azioni operative delle milizie, aspetto che eastwest aveva anticipato qualche settimana fa. Tanto da far ritenere ad alcuni osservatori che il Paese non sia solo sull’orlo della guerra civile ma che in realtà si sia già di fronte a una riesplosione di un conflitto mai concluso. La convergenza tra la forza politica centrale e i gruppi armati, secondo il The Diplomat, abbasserebbe di netto le possibilità di un negoziato pacifico.
Il ruolo della comunità internazionale e dei vicini asiatici
Sul piano esterno, la creazione di un esecutivo di unità nazionale chiama allo scoperto la comunità internazionale. Ci si aspetta il riconoscimento ufficiale da parte di diversi Paesi occidentali e arabi, con la possibilità che venga aperto al fronte anti Tatmadaw l’accesso ai capitali detenuti dal Myanmar all’estero e ai conti bancari congelati negli Stati Uniti e a Singapore. Aspetto rilevante, se si considera che al di là delle sanzioni è in crescita la sospensione delle attività locali delle multinazionali. Una delle ultime a muoversi in tal senso è stata la malese Petronas.
Ma, ancora una volta, sarà decisivo l’atteggiamento e il posizionamento dei vicini asiatici. Qualcosa si muove intorno al Giappone, che ha cospicui interessi commerciali in Myanmar. Durante l’incontro a Washington tra il Presidente Joe Biden e il Primo Ministro Suga Yoshihide si è discusso anche del golpe. Nel comunicato finale si condannano “con forza le violenze commesse dall’esercito e dalla polizia birmani contro i civili” e si richiede “la cessazione immediata delle violenze, il rilascio dei prigionieri e un rapido ritorno alla democrazia”. Tokyo sta protestando da giorni con la giunta militare per l’arresto del giornalista freelance Kitazumi Yuki, fermato dalle autorità birmane con l’accusa di “diffusione di fake news“. La Cina, sin dall’inizio, cerca di mantenere aperti i canali di dialogo sia con l’esercito sia con gli esponenti dell’opposizione, fedelmente alla propria linea di non interferenza negli affari esteri e soprattutto per provare a salvaguardare i propri interessi commerciali e geopolitici nel Paese del Sud-est asiatico. Prosegue l’ambiguità anche dell’India, che al Myanmar ha venduto uno dei propri vaccini anti Covid e che vede nel Paese un importante proscenio per la sua competizione con la Cina.
Chi potrebbe incidere in maniera molto diretta è l’Asean, visto che il Myanmar è uno dei dieci membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico. Sin dall’inizio della crisi, Indonesia e Malaysia sono i due Paesi più decisi sulla necessità di intervenire nella crisi. A Giacarta si parla da tempo di possibile sospensione di Naypyidaw dall’organizzazione. Ma finora l’Asean è stato molto diviso sul golpe. La Thailandia, altro Paese governato da un regime militare, non può permettersi di esporsi contro il Tatmadaw. Non a caso, il suo Primo Ministro Prayuth Chan-ocha ha annunciato che non sarà presente al vertice Asean di sabato 24 aprile a Giacarta.
Il Governo di unità nazionale birmano ha chiesto di essere considerato nei colloqui regionali, ma intanto a Giacarta ci sarà il generale Min Aung Hlaing, cioè colui che di fatto ha organizzato il golpe. Ban Ki-moon, ex segretario generale delle Nazioni Unite ha detto all’Asean che il principio di non interferenza negli affari interni degli Stati membri “non dovrebbe essere utilizzato per giustificare l’inazione di fronte a seri abusi dei diritti umani”. Un passaggio che non sarà semplice da compiere, quantomeno in maniera unitaria. Intanto il Myanmar procede pericolosamente verso il caos.
La formazione di un Governo di unità nazionale mostra l’inedita convergenza tra partiti politici centrali e milizie armate. Si rischia lo scontro aperto
Ogni anno, nel mese di aprile, in Myanmar ricorre il Thingyan, il capodanno che celebra la tradizione buddhista del Paese. Quest’anno, la giunta militare protagonista del golpe dello scorso 1° febbraio ha deciso di festeggiare liberando 23mila e 184 prigionieri dalle carceri. Un’amnistia nella quale però non sono coinvolti, se non con poche eccezioni, gli attivisti che da oltre due mesi e mezzo manifestano per il ripristino della democrazia e il rispetto dell’esito delle elezioni dello scorso novembre. Tra i rilasciati anche 137 cittadini stranieri che sono stati o verranno deportati.
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