Nuova escalation al confine tra i due Paesi: si sarebbe raggiunto un nuovo cessate-il-fuoco, Yerevan chiede aiuto alla Russia. Il ruolo della Turchia
Si riaccende il focolare di guerra al confine tra Armenia e Azerbaijan, dove nella notte tra lunedì e martedì sono stati uccisi 49 soldati armeni, in quella che Yerevan ha definito “provocazione su larga scala”. La nuova escalation arriverebbe, secondo gli armeni, a causa della posizione azera di non voler discutere sullo status del Nagorno Karabakh, la regione martoriata e risalita tristemente agli onori della cronaca due anni fa per la sconfitta dell’Armenia sull’Azerbaijan e l’intervento di due potenze regionali come Russia e Turchia, entrambe interessate nella gestione degli affari locali, la prima in appoggio a Yerevan, l’altra a Baku.
L’Azerbaijan, al contrario, sostiene sia stata l’Armenia ad aver iniziato la nuova escalation, accusandola di aver portato avanti attività d’intelligence e di aver spostato mezzi militari e armi lungo il confine. “L’Armenia deve smettere immediatamente di provocare e focalizzarsi sulla negoziazione della pace e nella cooperazione con l’Azerbaijan”, ha commentato il Ministro degli Esteri Turco Mevlüt Çavuşoğlu, dopo aver parlato telefonicamente col collega azero Jeyhun Bayramov.
Che la questione sia della massima delicatezza lo si denota dagli interventi degli Stati Uniti e della Russia, a sua volta impegnata nell’invasione dell’Ucraina. Washington, tramite il Segretario di Stato Antony Blinken, si dice all’amata per quanto sta avvenendo. “Ci sono notizie di bombardamenti contro strutture di civili in territorio armeno. L’abbiamo già detto tante volte, non esiste una soluzione militare al conflitto. Chiediamo che qualunque operazione cessi immediatamente”, ha scritto in una nota il Dipartimento di Stato.
Toni non dissimili sul fronte russo, con il Ministero degli Esteri che si aspetta che “il cessate-il-fuoco concordato dalle ore 9, orario di Mosca, del 13 settembre sia implementato appieno. Chiediamo — si legge nella nota del Ministero di Sergej Lavrov — che le parti non vadano oltre con l’escalation in corso, e rispettino l’accordo trilaterale del 9 novembre 2020”. Il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha affermato che si è tenuto un meeting del Csto, l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva che raggruppa la Russia e l’Armenia, la Bielorussia, il Kazakistan, il Kirghizistan e il Tagikistan.
L’escalation dei giorni scorsi è tra le più crude dalla temporanea fine delle ostilità del 2020. Lo scorso marzo la stessa Russia parlò di violazione da parte azera delle indicazioni previste dall’accordo di due anni prima. “Le Forze Armate della Repubblica dell’Azerbaijan, dal 24 al 25 marzo, hanno violato le indicazioni dell’accordo trilaterale firmato da Russia, Azerbaijan e Armenia il 9 novembre 2020, entrando nella zona del Nagorno Karabakh, nella quale la Federazione russa è responsabile del monitoraggio del peacekeeping, installando un punto di osservazione. Sono stati compiuti quattro strike con droni Bayraktar TB2 contro formazioni armate fuori dalla località di Furukh”, scrisse il Ministero della Difesa russo in un comunicato.
L’accordo del 2020, raggiunto dopo la sconfitta dell’Armenia, ha previsto che Yerevan cedesse il Distretto di Agdam, così come quello di Kalbajar. Il Corridoio di Lachin, nei suoi 5 chilometri, sarebbe rimasto sotto il controllo della Federazione Russa. Nell’agreement, composto da 9 punti, puntualizzate una serie di indicazioni circa la presenza russa sul territorio e sul ruolo dell’Onu sul fronte rifugiati. Mosca organizzò l’invio di forze di peacekeeping, 1960 truppe armate, 90 veicoli corazzati e 380 motoveicoli, insieme a unità speciali. I militari vennero dislocati lungo la linea di contatto nel Nagorno Karabakh e nel Corridoio di Lachin.