Il pellegrinaggio di Papa Francesco ha anche un alto valore simbolico. Da sempre, il Papa “venuto dalla fine del mondo” insiste sulla necessità di ampliare gli sforzi e il ruolo della Chiesa nelle cosiddette periferie globali
Papa Francesco è pronto a diventare il primo pontefice della storia a recarsi in visita in Mongolia. Prevista per giovedì sera la partenza dall’aeroporto di Fiumicino, con arrivo all’aeroporto Chinggis Khaan di Ulan Bator per la mattinata di venerdì 1° settembre. Un viaggio che conferma la proiezione asiatica del papato di Bergoglio, che si avvicina come mai fatto prima alla Cina, cioè la meta che lui stesso ha definito a più riprese come una sorta di “sogno”. Lui, gesuita come Matteo Ricci, in territorio cinese. Un passaggio che avrebbe davvero un significato storico, che per ora si ferma però nella limitrofa Mongolia, il Paese asiatico stretto tra Cina e Russia e futura via di passaggio del gasdotto Power of Siberia 2.
“Si tratta di una visita tanto desiderata”, ha confessato Bergoglio al termine dell’Angelus di domenica 27 agosto. “Sarà l’occasione per abbracciare una Chiesa piccola nei numeri ma vivace nella fede e grande nella carità. E anche per incontrare da vicino un popolo nobile, saggio, con una grande tradizione religiosa che avrò l’onore di conoscere specialmente nel contesto di un evento interreligioso”. Al centro del viaggio i rapporti con la religione buddista, maggioritaria in Mongolia. Giusto negli ultimi mesi, un bambino di 8 anni di cittadinanza mongola è stato scelto dal Dalai Lama come nuovo Khalka Jetsun Dhampa, terza carica del buddismo tibetano. Una nomina che in Mongolia crea in realtà anche qualche preoccupazione, vista la disputa aperta tra il Dalai Lama e la Repubblica Popolare Cinese, che rivendica il diritto di nomina delle cariche religiose tibetane.
Il pellegrinaggio di Bergoglio ha anche un alto valore simbolico. Da sempre il Papa “venuto dalla fine del mondo” insiste sulla necessità di ampliare gli sforzi e il ruolo della Chiesa nelle cosiddette periferie globali. E la Mongolia è senz’altro una di queste, visto che conta solo poche centinaia di fedeli cattolici. Per l’esattezza, i battezzati sono poco meno di 1500, circa il 2% dei 3,5 milioni di abitanti di cui il 30% si professa non religioso.
Altro tema centrale sarà l’ambiente, visto che proprio la Mongolia nel 2026 ospiterà la Cop17 della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione. Un fenomeno che, secondo gli ultimi studi, colpisce circa il 76% del territorio mongolo. E che mette a rischio la produzione agricola, cruciale per l’economia del Paese asiatico, nonché l’antica tradizione pastorale e nomade. A incidere anche le attività estrattive. Mongolia e Mongolia interna, quest’ultima una delle province del territorio cinese, hanno attive ancora molte miniere e centrali elettriche a carbone, anche perché molto ricche di risorse minerali o terre rare considerate strategiche per la competizione tecnologica e la transizione energetica. Il governo locale si trova di fronte alla difficile sfida di trovare un equilibrio tra esigenze climatiche e necessità economiche, visto che altri settori, a partire dal turismo, sono stati pesantemente colpiti prima dalla pandemia di Covid-19 e poi dalla guerra in Ucraina che ha bloccato il consueto flusso dalla Russia.
Bergoglio si fermerà in Mongolia fino a lunedì 4 settembre. In programma incontri col Presidente Ukhnaagiin Khurelsukh e il capo del Grande Hural di Stato (il parlamento unicamerale mongolo) Gombojavyn Oyun-Erdene. Ma anche ovviamente con vescovi, sacerdoti e missionari presenti in Mongolia. Domenica 3 settembre in agenda l’incontro ecumenico e interreligioso con esponenti del buddismo tibetano, mentre nel pomeriggio il Papa celebrerà la messa nella Steppe Arena.
Un programma fitto che conferma il recente grande attivismo diplomatico della Mongolia, che sta cercando di rafforzare la diversificazione dei suoi rapporti internazionali. Solo poche settimane fa, il premier Luvsannamsrain Oyun-Erdene si è recato negli Stati Uniti dove ha incontrato la vicepresidente Kamala Harris. A luglio, invece, era stato a Ulan Bator il Presidente francese Emmanuel Macron.
Ma la visita rafforza anche la presenza asiatica della Chiesa cattolica. A fine luglio, durante la visita a Roma del Presidente Vo Van Thuong, la Santa Sede ha raggiunto uno storico accordo col Vietnam per la nomina di un rappresentante stabile del Vaticano ad Hanoi. Uno sviluppo rilevante che potrebbe servire da apripista, quantomeno nei programmi vaticani, a un simile accordo con la Cina. Per ora, con Pechino è in vigore un accordo sulla nomina dei vescovi di durata biennale, istituito nel 2018 e rinnovato già due volte nel 2020 e nel 2022. In attesa di un viaggio in terra cinese, un Pontefice arriva per la prima volta davvero alle sue porte.
Papa Francesco è pronto a diventare il primo pontefice della storia a recarsi in visita in Mongolia. Prevista per giovedì sera la partenza dall’aeroporto di Fiumicino, con arrivo all’aeroporto Chinggis Khaan di Ulan Bator per la mattinata di venerdì 1° settembre. Un viaggio che conferma la proiezione asiatica del papato di Bergoglio, che si avvicina come mai fatto prima alla Cina, cioè la meta che lui stesso ha definito a più riprese come una sorta di “sogno”. Lui, gesuita come Matteo Ricci, in territorio cinese. Un passaggio che avrebbe davvero un significato storico, che per ora si ferma però nella limitrofa Mongolia, il Paese asiatico stretto tra Cina e Russia e futura via di passaggio del gasdotto Power of Siberia 2.