La transizione verso l’indipendenza dal gas russo rischia di essere dannosa per l’ambiente: l’emergenza energetica può costringere Berlino a utilizzare altre fonti, in primis il carbone
Con il nuovo Governo semaforo, la Germania sembrava aver definito il proprio percorso verso un futuro più sostenibile, dal punto di vista energetico. Spinto dalla sua componente Verde, l’esecutivo aveva fissato delle scadenze precise, ancor più significative perché arrivate dopo anni di tentennamenti. L’uscita dal carbone era stata prevista per il 2030, la neutralità carbonica per il 2045, cinque anni prima rispetto a quanto previsto dalla Cop26 di Glasgow.
L’intero percorso verso la decarbonizzazione si sarebbe basato sullo sfruttamento del gas, e d’altronde non poteva essere altrimenti. La Germania ha infatti bisogno di sostituire carbon fossile e lignite, fonti estremamente inquinanti da cui continua a ricavare una quota cospicua della propria energia. Allo stesso tempo, alla fine di quest’anno Berlino completerà il lungo percorso di rinuncia al nucleare iniziato oltre dieci anni fa, all’indomani della catastrofe di Fukushima. Dei cambiamenti troppo significativi per poter essere affrontati contando unicamente sulle fonti rinnovabili.
Sul gas, poi, la Germania stava puntando già da anni. Su quello russo, in particolare, come avevano mostrato le scelte dei Governi Schröder e Merkel. Prima c’era stata la costruzione del gasdotto Nord Stream, nel 2011, per portare il gas in Germania attraverso il mar Baltico ed evitare il passaggio attraverso gli stati dell’Europa orientale. In seguito era stato costruito il Nord Stream 2, nonostante le crescenti preoccupazioni sull’eccessiva dipendenza tedesca dalla Russia, a cui la Germania aveva replicato parlando di una partnership puramente commerciale.
La dipendenza dal gas russo
La scelta di affidarsi alle importazioni russe era ormai chiara ed era stata sottolineata anche all’inizio di quest’anno, con l’inserimento del gas tra le fonti potenzialmente green, nella tassonomia europea. La decisione, presa dalle istituzioni comunitarie, non faceva altro che avallare le richieste e gli interessi di Berlino.
La strada sembrava tracciata, quindi. Poi però è scoppiata la guerra in Ucraina e ogni certezza sulla politica energetica tedesca è svanita. Berlino si è svegliata con la chiusura di Nord Stream 2, le riserve di gas vuote e la possibilità che le sanzioni la obblighino a rinunciare alle importazioni di idrocarburi da Mosca. E ha dovuto rimettere in discussione il proprio futuro.
Più di ogni altra cosa, Berlino ha temuto di dover rinunciare sin da subito al gas russo, a causa di un embargo deciso a livello europeo o di una rottura voluta da Mosca. La Germania produce il 15% della propria energia attraverso il gas, basandosi quasi totalmente sulle importazioni. E la gran parte di questo viene dalla Russia: il 55% secondo le stime di AG Energiebilanzen, un’associazione che monitora la politica energetica tedesca, mentre altri enti parlano di percentuali ancora più elevate.
Per ora, quella dell’embargo è soltanto un’ipotesi, peraltro smentita più volte dal Governo Scholz. A Berlino però la stanno prendendo sul serio, consci di quanto la dipendenza dalla Russia sia stata sottovalutata fino a oggi e abbia portato alla situazione attuale. Dal momento stesso dell’invasione è cominciata quindi la pubblicazione di studi e analisi, con lo scopo di capire come il Paese potrebbe reagire ad uno stop delle importazioni. Ed ha preso piede uno scontro, tra chi è ottimista e crede che l’embargo non avrebbe conseguenze poi così drammatiche, come il Governo, e chi invece sostiene che l’economia tedesca entrerebbe in una fase di prolungata recessione.
Ad analizzare la situazione immediatamente successiva all’inizio della guerra ci ha pensato uno studio del gruppo di ricerca Leopoldina, uno dei più completi. L’indipendenza dal gas russo, sostiene, sarebbe possibile: l’economia tedesca sarebbe in grado di sopportare un embargo e di reagire. Ad alcune condizioni, però. L’emergenza renderebbe necessario risparmiare più gas possibile e obbligherebbe ad utilizzare altre fonti, in primis il carbone. La Germania dovrebbe poi muoversi in prima persona per assicurarsi la fornitura di nuovo gas e per regolamentare in maniera più stringente il mercato, ora estremamente liberalizzato. Infine, il prossimo inverno non dovrebbe essere eccessivamente freddo, o Berlino dovrebbe optare per il razionamento della poca energia disponibile.
L’energia green non basterà
Per quanto mostri un certo ottimismo, lo studio è chiaro su un punto: la transizione verso l’indipendenza dal gas russo sarà dannosa per l’ambiente. L’obiettivo di un futuro green non può essere abbandonato dal Governo tedesco – tantomeno dai Verdi che sono una parte rilevante della maggioranza – e resta il traguardo da raggiungere sul lungo periodo. Lo testimonia l’impegno preso dall’esecutivo di utilizzare soltanto fonti rinnovabili per la produzione di energia dal 2035. Al momento, tuttavia, c’è la consapevolezza che l’energia verde non possa bastare.
Il gruppo di ricerca sostiene che Berlino dovrà quindi affidarsi al carbone per la produzione di elettricità. Per mancanza di alternative, innanzitutto: le rinnovabili sono insufficienti e la disponibilità di gas è al momento limitata, a livello globale. La Germania sta inoltre rinunciando al nucleare e, per quanto l’opzione sia stata ripetutamente messa sul tavolo, ritardare il processo non è possibile: le procedure di spegnimento delle centrali sono già iniziate e si concluderanno in ogni caso alla fine dell’anno, i reattori potrebbero tornare a produrre energia non prima del 2024. Il carbone è invece presente sul territorio tedesco, il Paese potrebbe quindi sfruttarlo senza il bisogno di nuovi accordi a livello internazionale. Ora, tuttavia, anche questo viene in buona parte importato, la metà viene dalla Russia: aumentare la produzione interna significherebbe accettarne le conseguenze ambientali.
Accanto al carbone, la Germania punterà in maniera decisa sul gas naturale liquefatto, il cosiddetto Gnl, importandolo da Qatar e Stati Uniti. Il Governo si sta già muovendo per la costruzione dei gasdotti necessari, mentre per lo sbarco e la rigassificazione si affiderà in un primo periodo ai Floating Storage, delle strutture galleggianti e provvisorie. Anche nel caso del Gnl, la scelta non è priva di conseguenze per il clima: il gas liquefatto ha emissioni di CO2 due volte e mezzo superiori rispetto a quello russo, deve essere trasportato via nave attraverso lunghe distanze e l’intero processo provoca fuoriuscite considerevoli di metano.
Come sottolineato dallo studio della Leopoldina, il Governo tedesco non si può limitare a cercare fonti alternative di energia e deve invece cambiare il proprio ruolo, ritrovando una centralità e una posizione di controllo. Tale necessità è stata resa evidente a fine febbraio, quando la Germania si è ritrovata a dover affrontare la crisi con i depositi di gas pressoché vuoti, e quindi senza margine d’azione. Fino ad ora, infatti, erano le compagnie private a poter decidere il livello di riempimento delle riserve nazionali: un terzo di queste sono però gestite da Astora, una controllata di Gazprom, accusata di aver mantenuto volutamente i depositi vuoti per alzare il prezzo del gas e per mettere pressione politica sulla Germania.
Il Governo di Scholz si è mosso con decisione, anche se a tempo scaduto. Ha fatto approvare una nuova legge che fissa il livello minimo delle riserve di gas: a inizio inverno queste devono essere piene almeno al 90%, in modo da garantire la sicurezza energetica del Paese. L’esecutivo ha anche preso il controllo di Gazprom Germania, con una mossa distante dall’abituale prudenza tedesca. La società, legata al colosso energetico russo, è stata messa sotto l’amministrazione fiduciaria della Bundesnetzagentur, l’agenzia federale che si occupa di energia, per assicurare un corretto approvvigionamento di energia al Paese, come ha spiegato il Ministro dell’Economia Robert Habeck.
Sono mosse necessarie, quelle della Germania, ma non è detto che siano sufficienti. E così, nel frattempo, Berlino si sta preparando anche all’eventualità peggiore, quella che il prossimo inverno l’energia non basti. Nel caso, sarebbe l’industria ad essere sacrificata, con possibili chiusure di alcuni settori o con la concentrazione della produzione in pochi giorni della settimana. Uno scenario che tutti, governo e imprese, vogliono evitare.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
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