L’incontro tra i due leaders chiude definitivamente la stagione delle tensioni all’interno del Gulf Cooperation Council. Dopo i Mondiali di calcio e il patto del gas con Cina e Germania, il Qatar ha acquisito grande rilevanza negli equilibri energetici mondiali
Il Qatar sembra essere passato nel giro di pochi anni dall’inferno al paradiso, da entità reietta tra i Paesi del Golfo a Stato fondamentale per la stabilità energetica mondiale e, di pari passo, per quella regionale. La visita nella nazione del Presidente degli Emirati Arabi Uniti, Sheikh Mohamed bin Zayed Al Nahyan, non fa altro che confermare il trend positivo per Doha che, nel mezzo dell’organizzazione dei discussi Mondiali di calcio, ha colto l’occasione per ripulirsi l’immagine e portare avanti azioni in politica economica ed estera.
Prima l’accordo con la Cina per la fornitura di gas per 27 anni, poi la firma con la Germania di un deal di 15 anni, ora l’arrivo a Doha del Presidente emiratino, che va a chiudere anni complessi nelle relazioni tra i due Paesi: un successo a 360 gradi per il piccolo emirato del Golfo, che accoglie Al Nahyan con tutti gli onori che si concedono ad un vecchio amico. Nella giornata di ieri, l’Emiro Sheikh Tamim bin Hamad Al-Thani ha ricevuto al suo arrivo all’Hamad International Airport il Presidente degli Emirati, visto tra l’altro da molti come l’architetto della congiura contro il Qatar avvenuta negli anni passati.
La volontà d’indipendenza di Doha in politica estera, il sostegno qatarino alle opposizioni nel corso delle sfortunatamente ribattezzate primavere arabe, la presenza in patria di una voce critica come Al Jazeera verso i Governi dell’Arabia Saudita e dell’Egitto hanno portato alla saturazione dei rapporti tra gli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo, culminati nel 2017 con la decisione di boicottaggio. All’apice della crisi, come ricorda Associated Press, i giornali degli Emirati arrivarono persino a proporre la realizzazione di una trincea lungo il confine tra Arabia Saudita e Qatar, per riempirla di scorie nucleari.
Le ragioni del boicottaggio
La rabbia rivolta a Doha dai Paesi del Gulf Cooperation Council (in particolare Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti) poggiava principalmente sull’avvicinamento del Qatar a Iran e Turchia, attori geopolitici straordinariamente importanti, ciascuno con i propri interessi nell’ampia regione mediorientale. Ankara è in aperto contrasto con Riad — player di riferimento degli Stati Uniti — nel confronto economico e sul soft power ideologico dell’Islam. Teheran è l’antagonista dei sauditi fin dalla Rivoluzione del 1979, oltre che sul fronte energetico e religioso. In aggiunta, Doha è stata accusata di appoggio alla Fratellanza Musulmana, realtà politica contro la quale si è scagliato l’attuale Presidente dell’Egitto Abdel Fattah al-Sisi, al potere dopo aver rovesciato l’esponente dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi, poi morto in prigione nel 2019. Una serie di questioni delicate, da leggere negli anni di Presidenza statunitense a guida Donald Trump, che ha lasciato ampia libertà d’azione a Riad e al Principe Mohammed bin Salman, direttamente legato alla morte del giornalista Jamal Khashoggi.
Con la visita in Qatar del Presidente degli Emirati si segnala la fine dello strappo tra le due Nazioni, che rafforza la scelta del 41° summit del Gulf Cooperation Council del 2021 ad Al-Ula, che permise di riaprire le porte dell’organizzazione a Doha. L’attenzione internazionale è altissima verso l’emirato che, oltre ad ospitare il mondiale di calcio in pieno svolgimento, è diventato di grande rilevanza negli equilibri energetici mondiali, a maggior ragione dopo gli accordi chiusi da QatarEnergy con Cina e Germania.