L’ondata di proteste e violenze è diretta conseguenza del risultato di un dubbio processo a cui è stato sottoposto Ousmane Sonko, il maggior oppositore del Presidente Macky Sall per le elezioni previste il prossimo febbraio
Sono settimane complicate, per il Senegal. Quella che per lunghi anni è stata considerata tra le democrazie più funzionanti del continente è ora al centro di tensioni politiche e scontri. Che non si limitano a mettere in discussione il sistema democratico, ma fanno temere addirittura lo scoppio di un conflitto civile.
L’ultima ondata di proteste e violenze è una diretta conseguenza del risultato di un processo a cui è stato sottoposto Ousmane Sonko, colui che si proponeva come maggior oppositore del presidente Macky Sall per le elezioni previste per il prossimo febbraio. Sonko era arrivato davanti alla corte per rispondere all’accusa di stupro: assolto da questo reato, si è visto condannato a due anni di carcere per “corruzione dei giovani”, accusa che non gli era stata mossa in precedenza.
Il dubbio svolgimento del processo ha portato lo schieramento d’opposizione a puntare il dito contro il Presidente ed il governo, accusati di aver orchestrato l’intero procedimento per rendere più difficile a Sonko il cammino verso il voto del 2024, rendendolo ineleggibile attraverso una condanna. Una tesi che sembra essere stata avvalorata dall’ulteriore condanna del leader dell’opposizione per diffamazione, vicenda di cui vi avevamo parlato in un precedente articolo. Ma anche dal fatto che Sonko non sarebbe il primo rivale di Macky Sall a dover abbandonare la competizione elettorale a causa del risultato di un processo: negli scorsi anni era successo anche a Karim Wade, figlio dell’ex presidente, ma anche all’attuale sindaco di Dakar e al suo predecessore, Barthelemy Dias e Khalifa Sall.
Gli appelli dell’opposizione e la rabbia verso il governo hanno spinto migliaia di persone a riversarsi nelle strade di Dakar e non solo, dopo che la sentenza è stata emessa giovedì 1 giugno. Da subito, però, le proteste si sono trasformate in una sorta di guerriglia tra la polizia e i manifestanti: tra questi, si contano almeno 16 morti, 350 feriti e 500 arrestati. Inoltre, in gran parte del Paese è stato bloccato l’accesso ad internet e ai social network, con la motivazione che questi fossero stati cruciali nell’aumentare le violenze. Gli scontri hanno poi avuto un riflesso anche al di fuori dei confini nazionali: a Milano e in diverse altre città, le sedi diplomatiche senegalesi sono state attaccate dai manifestanti ostili al governo.
Le proteste e le violenze di questi giorni non fanno altro che confermare quanto il Senegal sia diviso al suo interno. Da un lato c’è l’attuale presidente, Macky Sall: a capo del Paese dal 2012, sta concludendo il suo secondo mandato e sarebbe per questo impossibilitato a presentarsi alle prossime elezioni. Pur senza aver chiarito le sue intenzioni, Sall si appella però al fatto che il suo primo mandato sia stato di 7 anni, in quanto precedente alla riforma costituzionale del 2016, e non vada perciò incluso nel conto dei due mandati quinquennali indicati come limite.
Sall è una figura estremamente conosciuta a livello internazionale: fino a febbraio ha ricoperto la carica di presidente dell’Unione Africana, nei primi mesi del conflitto ucraino ha portato avanti un dialogo con Mosca e Kiev e anche ora è coinvolto nel tentativo di mediazione guidato dal Sudafrica. Sono buoni anche i rapporti con i Paesi occidentali e in particolare con la Francia di Macron, nonostante nell’ultimo periodo Parigi stia tentando di recuperare una posizione di neutralità, per essere pronta anche ad un’eventuale vittoria dell’opposizione nel voto dell’anno prossimo.
A livello interno, il Presidente gode ancora di una certa popolarità, soprattutto tra gli strati più benestanti della popolazione. Tuttavia, il ripetuto tentativo di escludere Ousmane Sonko dalla corsa alla presidenza mostra come Sall non sia certo di avere dalla sua parte la maggioranza dei senegalesi, anzi.
Negli ultimi anni si è infatti allargato sempre di più lo schieramento che guarda con favore a Sonko: se le élite restano al fianco di Sall, a supportare l’opposizione sono soprattutto giovani con difficoltà economiche e che vivono spesso in aree periferiche. Ci sono poi molti cittadini delusi dall’azione dell’attuale presidente: alcuni di questi lo considerano vecchio e inefficace, soprattutto nel combattere gli effetti della pandemia, altri guardano con timore all’erosione delle libertà democratiche nel Paese. E non manca nello schieramento che si oppone a Sall un certo grado di risentimento verso l’Occidente, sempre più diffuso in Africa occidentale: da quando ha fatto il suo ingresso nella scena politica, Sonko non ha infatti mai nascosto di voler allentare i rapporti con la Francia, ad esempio mettendo fine all’utilizzo del franco CFA.
Sono settimane complicate, per il Senegal. Quella che per lunghi anni è stata considerata tra le democrazie più funzionanti del continente è ora al centro di tensioni politiche e scontri. Che non si limitano a mettere in discussione il sistema democratico, ma fanno temere addirittura lo scoppio di un conflitto civile.