Se la difesa teorica di valori e regole non impedisce (o addirittura contribuisce a) guerre e migliaia di morti, il sistema globale di convivenza civile va riorganizzato
Manovre militari con fuoco vivo e proiettili veri. Le esercitazioni cinesi al largo delle coste di Taiwan ad agosto hanno messo paura al mondo. Il timore di un incidente e di un’escalation, dalla quale sarebbe stato difficile tornare indietro, hanno tenuto con il fiato sospeso l’intera comunità internazionale. “Una catastrofe globale paragonabile alla prima guerra mondiale”: con queste parole Henry Kissinger ha definito il rischio di uno scontro tra Stati Uniti e Cina a seguito della crisi dello stretto di Taiwan.
“Siamo sull’orlo della guerra con Russia e Cina per questioni che in parte abbiamo creato, senza alcuna idea di come tutto ciò andrà a finire”, ha dichiarato l’anziano ex Segretario di Stato Usa, intervistato dal Wall Street Journal. Kissinger, artefice negli anni ‘70 del ripristino delle relazioni Usa-Cina, pur sottolineando i rischi di una Cina egemone globale, ha criticato aspramente le recenti scelte di Joe Biden in politica estera.
La visita di Nancy Pelosi
Quella di agosto scorso è stata la più importante visita di una figura politica statunitense da oltre 25 anni a Taiwan. L’isola, che si trova all’incrocio tra il Mar Cinese Meridionale, Orientale e l’Oceano, è uno Stato di fatto, ma non di diritto, non essendo riconosciuta formalmente dagli altri Paesi (tranne 14), per volontà della Repubblica popolare cinese, che la considera una provincia ribelle.
Nancy Pelosi, speaker della Camera degli Stati Uniti e terza carica istituzionale del Paese, è atterrata a Taipei il 2 agosto scorso, innescando un vero e proprio terremoto politico nelle relazioni tra Pechino e Washington. La Speaker democratica, partita insieme a una delegazione di cinque deputati, in poche ore ha visitato la Presidente taiwanese Tsai Ing-wen, si è recata in Parlamento e ha incontrato una serie di attivisti invisi a Pechino. “Di fronte alla crescente aggressività da parte del Partito comunista cinese – ha dichiarato Pelosi – la visita della nostra delegazione è una dichiarazione inequivocabile che l’America è con Taiwan. Le libertà di quest’isola, e di tutte le democrazie, devono essere rispettate”.
Se i funzionari americani, nei colloqui intercorsi prima e durante l’arrivo della speaker americana, hanno voluto ribadire che la visita non avrebbe comportato cambiamenti nella politica degli Usa verso Taiwan, cercando di personalizzare il viaggio della speaker, l’arrivo di Nancy Pelosi ha segnato in realtà, un punto di non ritorno, in una relazione, quella tra Usa e Cina, che da tempo è ai minimi termini.
“L’ambiguità strategica” riguardo alla risposta americana davanti a un’eventuale aggressione cinese dell’isola, ha lasciato, nel tempo, il posto a un approccio sempre meno ambiguo e nei fatti a un impegno crescente degli Stati Uniti nel sostenere Taipei, potenzialmente superando quanto sancito dal Taiwan Relations Act del 1979, che garantisce da parte americana la fornitura di mezzi militari in caso di invasione, ma non un intervento.
Al Congresso è competizione in politica estera
Se è vero che il Presidente Joe Biden ha mandato messaggi espliciti in cui invitava Nancy Pelosi a rinviare il viaggio, riferendo perplessità anche da parte del Pentagono, l’azione dell’esponente democratica è coerente con la dialettica anticinese che accomuna, in maniera più o meno bipartisan, democratici e repubblicani. Soprattutto con le elezioni di midterm in arrivo e la possibilità che le urne stravolgano gli equilibri del Congresso a favore dei repubblicani, si è innescata una sorta di competizione in politica estera, che ha come bersaglio Pechino. Da una parte, i repubblicani enfatizzano la lotta per l’egemonia globale e dall’altra, una grossa fetta dei democratici attacca l’autoritarismo cinese e le violazioni dei diritti umani.
Secondo il centro di studi statunitense Pew Research Center, l’82% degli americani ha una opinione negativa o molto negativa della Cina, una percentuale in costante aumento negli ultimi anni. “Biden e le precedenti amministrazioni sono state troppo influenzate dagli aspetti interni della visione della Cina”, ha dichiarato ancora Henry Kissinger in un’intervista con il caporedattore di Bloomberg News, invocando invece una flessibilità “nixoniana” in politica internazionale.
Cosa succederà a Taiwan ora?
È ancora presto oggi per valutare le reali conseguenze della visita di Nancy Pelosi. Pechino ha mostrato i muscoli, dimostrando agli Usa di essere in grado di circondare completamente Formosa, tagliandole i rifornimenti aerei e navali. Quello che per ora è evidente è che sarà solo Taipei a pagare le conseguenze delle provocazioni americane. Le esercitazioni militari cinesi, già abbastanza frequenti negli ultimi anni, saranno sempre più regolari, spostando più vicino alle coste taiwanesi la linea delle proprie azioni.
Riprendere il controllo di Taiwan è uno degli obiettivi che Xi Jinping si è dato in vista del 2049, quando il Paese festeggerà i 100 anni della Repubblica, ma come questo potrà avvenire è difficile da immaginare. “La Cina compirà tutti gli sforzi possibili per ottenere la riunificazione pacifica, ma non permetterà che Taiwan rimanga separata”, scrive in un editoriale sul Washington Post l’ambasciatore cinese negli Stati Uniti Qin Gang, commentando il viaggio di Nancy Pelosi.
Lo scenario di una unificazione volontaria appare, allo stato dei fatti, molto lontano. Oggi, più del 60% della popolazione si definisce solo taiwanese e, soprattutto negli ultimi anni, si è consolidata una forte identità nazionale. Inoltre né le pressioni militari né quelle economiche sembrano aver spaccato il fronte interno. D’altra parte, anche la possibilità di un’invasione militare appare lontana, perché una guerra avrebbe dei costi altissimi per Pechino e un esito incerto. La Cina sa che Taiwan non andrebbe solo conquistata ma anche occupata e mantenuta. Le provocazioni americane, in questo frangente, rischiano di alterare in maniera irreparabile lo status quo. I militari cinesi hanno sfondato la cosiddetta “linea mediana” che separa le acque di Taiwan da quelle di Pechino, aumentando la possibilità di incidenti e il rischio di un casus belli accidentale. Un evento che ci paracaduterebbe nella catastrofe globale di cui parla Kissinger.
Che fine ha fatto la convivenza civile?
Il revisionismo putiniano ha rafforzato la volontà di Pechino di alterare lo status quo, anche se le autorità cinesi hanno tenuto a precisare a più riprese la differenza sostanziale dell’invasione dell’Ucraina, Stato indipendente, dalla questione Taiwan: in quest’ultimo caso, si tratterebbe solo di una provincia ribelle. Certamente Vladimir e Xi sono portatori della difesa di valori e regole più tipici del XX secolo che del millennio che stiamo vivendo, neo-sovranismi e nazionalismi pericolosi e non in grado di affrontare le grandi sfide di questa epoca: la finanza transnazionale, le energie rinnovabili, le pandemie, richiedono forti e competenti istituzioni globali, non spazi nazionali sempre troppo piccoli per essere efficienti.
Ma ciò che pure preoccupa noi analisti di cultura democratica liberale è l’incapacità della nostra classe dirigente, europea ma soprattutto americana, di prevedere e controllare le conseguenze delle proprie politiche, che non hanno impedito 30mila morti nella guerra russo-ucraina. Si tratta certamente di effetti non voluti di un accerchiamento sistematico, effettuato dalle Amministrazioni americane degli ultimi 30 anni nei confronti di Mosca (la cosiddetta trappola di Tucidide). Effetti gravissimi, inaccettabili nel XXI secolo in Europa, se vogliamo costituire un esempio di convivenza civile, a Bruxelles come a Mosca.
O forse ci abbiamo rinunciato…
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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Manovre militari con fuoco vivo e proiettili veri. Le esercitazioni cinesi al largo delle coste di Taiwan ad agosto hanno messo paura al mondo. Il timore di un incidente e di un’escalation, dalla quale sarebbe stato difficile tornare indietro, hanno tenuto con il fiato sospeso l’intera comunità internazionale. “Una catastrofe globale paragonabile alla prima guerra mondiale”: con queste parole Henry Kissinger ha definito il rischio di uno scontro tra Stati Uniti e Cina a seguito della crisi dello stretto di Taiwan.
“Siamo sull’orlo della guerra con Russia e Cina per questioni che in parte abbiamo creato, senza alcuna idea di come tutto ciò andrà a finire”, ha dichiarato l’anziano ex Segretario di Stato Usa, intervistato dal Wall Street Journal. Kissinger, artefice negli anni ‘70 del ripristino delle relazioni Usa-Cina, pur sottolineando i rischi di una Cina egemone globale, ha criticato aspramente le recenti scelte di Joe Biden in politica estera.