Taiwan: Pompeo annuncia la rimozione delle restrizioni americane. Così l’ultima mossa dell’amministrazione Trump mette Biden in una posizione delicata
I contatti tra l’amministrazione Trump e le autorità di Taiwan sono partiti col botto, per dirlo in maniera semplice. Nel dicembre 2016 Donald Trump, ancora Presidente eletto, ebbe una telefonata di una decina di minuti con la Presidente Tsai Ing-wen: era dal 1979 che i capi di Stato americani e taiwanesi non avevano un contatto ufficiale. Cinque anni dopo, si potrebbe dire che le relazioni siano terminate un po’ allo stesso modo, con una mossa “forte” e controversa.
L’annuncio di Pompeo e il triangolo Stati Uniti-Taiwan-Cina
Il 9 gennaio scorso il Segretario di Stato Mike Pompeo ha infatti annunciato la rimozione delle “restrizioni auto-imposte” dagli Stati Uniti nei rapporti con Taiwan. Significa che sono state cancellate quelle regole che limitano o vietano i contatti tra i funzionari americani e taiwanesi. Non significa invece che Washington riconoscerà ufficialmente Taipei (la “One China Policy” americana, volutamente ambigua, non è in discussione). Ma si tratta comunque di una decisione molto rilevante, che avrà delle conseguenze e con la quale la futura amministrazione di Joe Biden dovrà necessariamente confrontarsi.
Le relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Taiwan, si diceva, sono governate dall’ambiguità: dato che la Cina non considera Taiwan uno Stato indipendente ma una parte del proprio territorio, l’America ha in passato elaborato una politica – la “One China Policy”, appunto – che in sostanza le consente di avere legami con entrambe. Pur continuando a non definirla un partner ufficiale, Taipei è però un importante alleato di Washington – che è il principale fornitore di armi dell’isola, ad esempio –, utile per il contenimento della crescita cinese nella regione dell’Asia-Pacifico. Pechino, ovviamente, mal tollera tutti questi contatti diplomatici, economici e strategici. Le parole di Pompeo lasciano immaginare addirittura un avanzamento nei rapporti tra l’America e Taiwan.
La decisione del Segretario di Stato, però, è stata anche controversa. C’è chi l’ha interpretata come una mossa più politico-propagandistica che tattica; più formale che concreta. Il colpo di coda di un’amministrazione uscente, insomma, che risponderebbe più che altro allo scopo di alzare ulteriormente la tensione con la Cina (che infatti ha risposto duramente) e costringere Biden alla “linea dura” con Pechino. Va ricordato però che la nuova amministrazione proseguirà lo scontro con il Partito comunista cinese: non ci sarà un cambio strategico ma tattico, al massimo; e retorico, sicuramente.
Shelley Rigger, docente di Scienze politiche al Davidson College ed esperta di Cina e Taiwan, ha detto che lo stesso annuncio sulla rimozione delle restrizioni, se fosse stato fatto negli anni scorsi e non durante una fase di transizione, sarebbe stato percepito diversamente, come una mossa più “seria”.
E invece il peso delle dichiarazioni di Pompeo è stato danneggiato proprio dal passaggio di potere al team di Biden, che ha portato alla cancellazione dei viaggi all’estero previsti per questa settimana. Incluso quello, a Taipei, dell’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite Kelly Craft: sarebbe stata l’ennesima visita – ce ne sono state diverse, in questi anni – di un funzionario statunitense di alto profilo sull’isola.
Prosegue il focus sul Mar cinese meridionale
Nonostante questo contraccolpo, l’amministrazione Trump continua a portare avanti il suo piano per l’Asia-Pacifico. Sempre Mike Pompeo, in un comunicato pubblicato giovedì, ha rivelato le nuove misure prese dagli Stati Uniti per il “mantenimento di un Mar cinese meridionale libero e aperto”. L’espressione si riferisce alla difesa della libertà di navigazione dalle pretese di Pechino, che rivendica come proprie quasi l’interezza di queste acque: acque peraltro fondamentali per il commercio, dalle quali potrebbe partire la sfida cinese al primato marittimo americano.
Le “azioni” annunciate da Pompeo prevedono restrizioni sui visti ai cittadini cinesi coinvolti nella militarizzazione del Mar cinese meridionale, oltre all’imposizione di restrizioni economiche verso la compagnia petrolifera Cnooc, definita uno strumento del Partito comunista per imporre con la forza le sue rivendicazioni in acque contese.
Biden e uno “zar” per l’Asia
Il giorno prima Washington aveva invece diffuso il documento contenente i punti principali della strategia per l’Asia-Pacifico, nel quale si parla della Cina come della principale minaccia regionale. Non è affatto una sorpresa, ed è un’ovvietà dire che Pechino occuperà il primo posto anche nella lista dell’amministrazione Biden.
Per l’appunto, l’ascesa cinese e l’Asia-Pacifico saranno tematiche talmente rilevanti che Biden ha creato una nuova posizione, quella di coordinatore per l’Indo-Pacifico, assegnandola a un veterano come Kurt Campbell. Campbell è stato il capo della diplomazia per l’Asia sotto Barack Obama ed è considerato uno degli architetti del pivot to Asia (“perno verso l’Asia”), la visione strategica che consisteva nel reindirizzare il focus della politica estera statunitense verso questa regione proprio per bilanciare l’influenza della Cina.
Taiwan: Pompeo annuncia la rimozione delle restrizioni americane. Così l’ultima mossa dell’amministrazione Trump mette Biden in una posizione delicata
I contatti tra l’amministrazione Trump e le autorità di Taiwan sono partiti col botto, per dirlo in maniera semplice. Nel dicembre 2016 Donald Trump, ancora Presidente eletto, ebbe una telefonata di una decina di minuti con la Presidente Tsai Ing-wen: era dal 1979 che i capi di Stato americani e taiwanesi non avevano un contatto ufficiale. Cinque anni dopo, si potrebbe dire che le relazioni siano terminate un po’ allo stesso modo, con una mossa “forte” e controversa.
L’annuncio di Pompeo e il triangolo Stati Uniti-Taiwan-Cina
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