Il Primo Ministro dell’Iraq al-Kadimi fiducioso che Teheran e Riad giungeranno a un compromesso. Utile il ruolo di Baghdad per la pace, mentre il JCPoA sembra giunto al capolinea
Solo l’invasione russa in Ucraina è riuscita a offuscare la tragicità quotidiana che vive il Medio Oriente, con la guerra in Yemen — fulgido esempio di conflitto pressoché dimenticato dalla diplomazia internazionale e dalla stampa mainstream — che prosegue sostanzialmente indisturbata, mentre attori protagonisti del conflitto come l’Iran e l’Arabia Saudita tentano un definitivo riavvicinamento diplomatico.
La guerra in Yemen ostacolo per iraniani e sauditi
Proprio il conflitto yemenita potrebbe rallentare il processo di pace tra Teheran e Riad, che negli ultimi mesi è stato fortemente riavviato grazie al nuovo ruolo di broker dell’Iraq, che ha prima ospitato delegazioni di basso livello dei due Paesi, per poi organizzare ad agosto 2021 una conferenza tra gli Stati dell’area in quello che è stato un primo faccia a faccia tra i Ministri degli Esteri Hossein Amirabdollahian e Faisal bin Farhan.
A dar seguito alla positività del momento proprio il Primo Ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi che, intervistato dal quotidiano al-Sabah, afferma di notare una vera e propria svolta, ampia e reale. “I fratelli del Regno dell’Arabia Saudita e della Repubblica islamica conducono il dialogo consci della grande responsabilità che la situazione attuale della regione richiede, siamo fiduciosi che la comprensione reciproca venga raggiunta presto”, ha commentato al-Kadhimi.
Per il Primo Ministro c’è la forte convinzione che il futuro della regione dipenda da un cambio di visione dell’area, che possa agganciare lo sviluppo globale partendo dall’annullamento delle crisi presenti. A partire proprio da quella tra Iran e Arabia Saudita, e che una volta raggiunto un accordo si possa arrivare alla fine delle violente ostilità in Yemen, per poi discutere numerosi altri dossier.
La fine dell’accordo sul nucleare iraniano?
Non quello sul nucleare iraniano, il JCPoA che oramai sembra realmente al capolinea. Le fragili speranze che un cambio della guardia alla Casa Bianca potesse diventare la svolta nella difficile trattativa sono andate a scontrarsi con la realpolitik dei contrastanti interessi degli stakeholder. “L’Occidente ha perso fiducia nell’accordo”, ha commentato un funzionario statunitense ad Arab News. “Non penso che qualcuno voglia dire esplicitamente che siamo giunti al capolinea. Questo significa andare indefinitamente avanti senza che una delle parti ammetta che è finita? È probabile”. Ma con quali conseguenze?
L’economia iraniana è allo stremo, motivo che ha spinto Teheran ad avvicinarsi sempre più a Russia e Cina, spauracchi occidentali per eccellenza. Un cambio di approccio verso la Repubblica islamica sarebbe funzionale alla stabilità dell’area, ma con la crisi in Ucraina in pieno svolgimento sembra lontano l’interesse delle potenze mondiali. Eppure, come osservato quotidianamente, tutti i tasselli geopolitici sono uniti: modificare lo status quo in una parte di mondo ha ripercussioni dirette in un’altra.
Nel caso iraniano, l’invasione della Russia ha inesorabilmente spento i riflettori prima accesi sul JCPoA, l’accordo sul nucleare che fino a qualche tempo fa poteva essere considerato come il tavolo negoziale tra i più importanti della diplomazia internazionale. La guerra di Vladimir Putin all’Ucraina non ha portato effetti benefici alle trattative, anche perché tra gli Stati firmatari troviamo gli Usa, l’Unione europea, la Russia e la Cina. Anni luce distanti, oggi più che mai.
Il Primo Ministro dell’Iraq al-Kadimi fiducioso che Teheran e Riad giungeranno a un compromesso. Utile il ruolo di Baghdad per la pace, mentre il JCPoA sembra giunto al capolinea