A margine del vertice Nato, i leader di Usa e Turchia hanno trovato un accordo sull’Afghanistan. Nulla da fare, invece, per la questione S-400, il sistema antiaereo che Ankara ha comprato da Mosca
Lunedì scorso, a margine del vertice della Nato, i Presidenti di Stati Uniti e Turchia, Joe Biden e Recep Tayyip Erdogan, si sono incontrati per la prima volta. La riunione era particolarmente attesa, soprattutto perché ad aprile Biden aveva riconosciuto ufficialmente il “genocidio” degli armeni da parte dell’Impero ottomano, tra le proteste di Ankara che rifiuta l’utilizzo di quel termine.
Non è stato, quello di lunedì, un incontro particolarmente entusiasmante: nel senso che non ha portato grosse svolte nei rapporti tra America e Turchia né risolto tutto quello che c’era da risolvere. Il quadro generale, insomma, non ne esce troppo mutato e anche i due Presidenti continuano a non piacersi.
La questione dell’S-400
L’altro ieri il consigliere americano per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, è tornato sull’incontro Biden-Erdogan e detto che la questione degli S-400 è stata sì discussa, ma – come era prevedibile – non è stato raggiunto un accordo. Sullivan si riferiva al sistema antiaereo che la Turchia, pur essendo un membro della Nato, ha comprato dalla Russia: gli Stati Uniti sono fortemente contrari all’acquisto perché temono che l’S-400 permetterà a Mosca di raccogliere informazioni sul funzionamento degli F-35, gli aerei da caccia sviluppati dall’americana Lockheed Martin; Ankara ha contribuito a costruirli ma è stata poi esclusa dal programma da Washington.
Erdogan ha detto che, sull’S-400 e gli F-35, la posizione della Turchia non cambierà. Nemmeno quella degli Stati Uniti, sembrerebbe.
Il ruolo della Turchia in Afghanistan
Durante la tele-conferenza con i giornalisti, giovedì, Sullivan ha detto che Biden ed Erdogan hanno trovato un accordo sull’Afghanistan. Gli Stati Uniti, cioè, sosterranno la Turchia nel suo compito di garantire la sicurezza dell’aeroporto di Kabul da una possibile avanzata dei Talebani dopo il ritiro delle truppe americane e Nato dal Paese: verrà ultimato, per volontà di Biden, entro l’11 settembre 2021, vent’anni dopo l’attentato alle Torri Gemelle.
La Turchia ha chiesto agli Stati Uniti di contribuire ai costi – economici e logistici – del mantenimento di una propria presenza militare a presidio dell’aeroporto internazionale di Kabul, postazione strategica per l’accesso all’Afghanistan. Gli Stati Uniti hanno detto di sì. È una vittoria per Ankara, ma probabilmente lo è ancora di più per Washington: quello che l’America vuole – già prima dell’amministrazione Biden – è distaccarsi il più possibile dal Medio Oriente per potersi concentrare nei quadranti più rilevanti nella competizione con la Cina, ovvero l’Asia-Pacifico. Per poterlo fare, è necessario però che il Medio Oriente venga reso stabile da una nazione interna alla regione e alleata di Washington.
La Turchia non rientra perfettamente in questa definizione, in realtà: è sì un partner, ma non uno di quelli di cui gli Stati Uniti si fidano pienamente. Ankara ha ambizioni da potenza regionale tra il mar Mediterraneo e l’Asia centrale e mostra una certa insofferenza – come dimostra il caso degli S-400 – per i vincoli dettati dalle alleanze. Non tutte le mosse della Turchia sono sgradite a Washington, comunque: in Libia, per esempio, ha respinto da Tripoli le forze del generale Khalifa Haftar, sostenuto dalla Russia.
Non è stato, quello di lunedì, un incontro particolarmente entusiasmante: nel senso che non ha portato grosse svolte nei rapporti tra America e Turchia né risolto tutto quello che c’era da risolvere. Il quadro generale, insomma, non ne esce troppo mutato e anche i due Presidenti continuano a non piacersi.