Assad presente al meeting del 19 maggio. Freddezza dal Qatar, la Turchia pronta a organizzare un incontro tra capi di Stato
La decisione presa domenica scorsa dai leader della Lega Araba riapre le porte alla Siria, la nazione guidata dal Presidente Bashar al-Assad che, dopo 12 anni di assenza, potrà partecipare ai meeting dell’organizzazione, a partire dal prossimo 19 maggio. Come anticipato da eastwest, il prossimo meeting della Lega Araba avrebbe dovuto segnare un passo in avanti per Damasco, con l’ipotesi che il Paese potesse gradualmente tornare a partecipare ai lavori, in prima battuta come Stato osservatore. Diversamente, la scelta votata a porte chiuse dai membri dell’organizzazione ha dato una spinta decisiva per un reintegro a pieno titolo, sancendo una Vittoria di Pirro per Assad, che paga le conseguenze di una guerra civile ancora non del tutto terminata e una generale diffidenza verso il suo Governo.
Tuttavia, il ritorno nella Lega Araba è un passaggio simbolicamente importante, perché concede piena sovranità alla nazione siriana e, soprattutto, offre una possibilità unica per un supporto alla normalizzazione del Paese, come richiesto da più parti, su tutti dall’Arabia Saudita e dall’Iran. Non a caso, la normalizzazione del rapporto tra Teheran e Riad è stata decisiva per un’accelerazione delle relazioni con Damasco che, senza il benestare dei Saud, non avrebbe potuto immaginare un rientro a pieno titolo nell’organizzazione. Ma dal viaggio di aprile del Ministro degli Esteri saudita Faisal bin Farhan, è stato un incessante coinvolgimento degli altri membri affinché si arrivasse a questa scelta, non senza defezioni importanti.
Il Qatar, ad esempio, non concorda sul credito offerto ad Assad. “La posizione ufficiale dello Stato sulla normalizzazione con il regime siriano è una decisione legata primariamente ai progressi della soluzione politica, che rispetti le aspirazioni del suo popolo”, ha detto Majed bin Mohammad Al Ansari, Consigliere di Politica Estera del Primo Ministro e Portavoce del Ministero degli Esteri. In sostanza, non cambia l’idea di Doha verso Damasco, per quanto il Qatar “supporta il raggiungimento del consenso tra i Paesi arabi e non diventerà un ostacolo”. Ciononostante, la nazione del Golfo spera che “il consenso sia utile al regime siriano per indirizzare le cause profonde della crisi che hanno portato al boicottaggio”.
Tra le realtà statuali da mesi impegnate per un ritorno alla normalità con la Siria, la Turchia, diretta interessata affinché il Paese confinante possa recuperare piena sovranità. Da questa passa la possibilità che i profughi siriani, scappati dalla guerra civile e in larga misura ospitati da Ankara, possano far ritorno nella loro nazione. Il Ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu ha dichiarato che entro il 2023 avverrà un incontro a livello di capi di Stato: quale sarà quello turco lo scopriremo domenica, dopo il voto. “L’obiettivo primario del riavvicinamento è la ripresa del processo politico. Senza, il conflitto rischia di durare per decenni. È di vitale importanza per i siriani in Turchia il loro ritorno a casa”, ha aggiunto Çavuşoğlu.
Difficilmente si avranno effetti concreti e sostanziali nel breve periodo: le sanzioni imposte alla Siria da Stati Uniti e Unione Europea impediscono l’afflusso di risorse economiche. Con il Caesar Syria Civilian Protection Act e l’ordine esecutivo 13894 voluto da Washington, vengono colpite le aziende del settore militare, delle infrastrutture, dell’energia, uomini d’affari siriani e lo stesso Bashar al-Assad. Non solo: il Caesar Act va a sanzionare anche le entità straniere “che facilitano il regime di Assad nell’acquisizione di beni, servizi e tecnologie che supportano le attività miliari dell’esercito governativo, così come l’aviazione, la produzione di petrolio e gas”.
Una situazione ingarbugliata, delicata, di difficile soluzione che, d’altro canto, inizia a prendere una piega diversa, quasi positiva, che lascia intravedere la luce dopo più di un decennio di conflitto interno e le sue ripercussioni in tutta l’area mediorientale. Nella speranza che una normalizzazione dei rapporti del Paese con le nazioni vicine possa portare sollievo in primis alla popolazione siriana.