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La guerra del cyberspazio


I microchip sono i mattoni e l’alfabeto del futuro. Tanto l’America quanto la Cina vogliono essere la nazione che scriverà le regole del futuro, con parole che rispecchiano la loro visione del mondo

Al giornalista che le aveva chiesto quali vantaggi concreti la sua visita avrebbe portato a Taiwan – la Cina ha reagito con delle grosse esercitazioni militari, segnando forse l’inizio di una nuova normalità di tensione per l’isola –, la speaker della Camera americana Nancy Pelosi rispose: il CHIPS Act. Abbreviazione di CHIPS and Science Act, è il maxi-piano di Joe Biden per la ricerca scientifica, l’innovazione tecnologica e la produzione di semiconduttori: è diventato legge ad agosto e vale 280 miliardi di dollari in tutto, di cui 52,7 destinati alla manifattura di microchip negli Stati Uniti. Servono a fare i dispositivi elettronici di largo consumo (dagli elettrodomestici agli smartphone alle console per i videogiochi), le automobili (specialmente quelle elettriche) e i sistemi d’arma avanzati (come gli ormai famosi missili Javelin forniti all’Ucraina). Ma non solo: in mancanza di chip altamente performanti non è possibile sfruttare il 5G e di conseguenza sviluppare l’intelligenza artificiale e la connettività estesa dell’Internet delle cose, con tutto quello che ne conseguirebbe in termini di competitività.

Chip: perché sono così importanti

I chip, insomma, sono uno di quegli “input che alimenteranno il futuro” evocati mesi fa da Biden. Il Presidente vuole che l’America si garantisca la dominanza nella loro produzione e la certezza degli approvvigionamenti, altrimenti metterebbe a rischio la propria sicurezza economica e nazionale. Nella sua visione, il CHIPS Act è dunque uno degli strumenti per vincere la sfida industriale-geopolitica con la Cina: senza semiconduttori non c’è industria, non c’è progresso e non c’è Pil; e senza un Pil sufficientemente grande è impossibile mantenere (nel caso di Washington) o ambire (nel caso di Pechino) alla primazia politica sul mondo.

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