Dopo la visita di Pelosi a Taiwan, la Cina ha avviato delle esercitazioni militari intorno all’isola, che non sono soltanto una dimostrazione di forza rivolta agli Stati Uniti. Alcuni missili sono atterrati in area giapponese
Ieri la Cina ha dato inizio alle esercitazioni militari nelle acque intorno a Taiwan come ritorsione per la visita sull’isola – indipendente, ma rivendicata da Pechino come propria – di Nancy Pelosi, la speaker della Camera statunitense. La Repubblica popolare ha interpretato il gesto della donna come una provocazione e una sfida alla sua autorità, viste le pretese su Taipei.
Le esercitazioni riguarderanno sette zone in tutto e sono state allungate di un giorno, fino alla mattina di lunedì 8 agosto. Il quotidiano giapponese Japan Times ha scritto che queste manovre non sono soltanto una dimostrazione di forza rivolta a Taiwan (perché in alcuni punti si svolgeranno nelle sue acque territoriali) e agli Stati Uniti (perché sono i principali sostenitori politici e militari del Governo taiwanese). Sono anche un avvertimento al Giappone. Cinque missili balistici cinesi sono peraltro atterrati all’interno della zona economica esclusiva giapponese.
Tetsuo Kotani, professore di Studi internazionali all’Università Meikai, ha detto al Japan Times che, vista la portata delle esercitazioni, “le isole Sakishima, comprese Yonagumi, Ishigaki e Miyako, potrebbero essere interessate dalle operazioni dell’Esercito popolare di liberazione, in quanto si presume che questo operi a est di Taiwan”. Yonagumi si trova ad appena 110 chilometri a est di Taiwan. Qui, e anche sull’isola Miyako, si trovano le basi delle Forze terrestri di autodifesa, l’equivalente giapponese della branca di un esercito dedicata alle operazioni militari a terra. A Ishigaki, invece, sta venendo costruita una struttura per i missili terra-aria e antinave.
Più volte negli ultimi anni i politici giapponesi – come l’ex Primo Ministro Shinzo Abe e il Ministro della Difesa Nobuo Kishi – hanno tracciato una relazione diretta tra la difesa di Taiwan in caso di invasione cinese e la sicurezza del Giappone. Oltre a quelle più ideologiche, di affinità democratica, ci sono anche delle ragioni concrete: Tokyo ha bisogno dei semiconduttori taiwanesi per far funzionare la sua industria elettronica e automobilistica; e ha bisogno che le rotte di navigazione passanti per quel quadrante restino aperte, altrimenti gli approvvigionamenti energetici verrebbero messi a rischio.
Taro Aso, ex Primo Ministro e oggi vicepresidente del Partito liberaldemocratico al potere, arrivò a suggerire un intervento armato giapponese dalla parte di Taiwan – e a fianco degli Stati Uniti – in caso di aggressione cinese, giustificandolo proprio con l’autodifesa nazionale. Ci sono state peraltro delle simulazioni di guerra congiunte con Washington per prepararsi a questo scenario, già dagli anni scorsi.
Se la Cina dovesse un giorno conquistare Taiwan, infatti, non verrebbero messe a rischio solamente la sicurezza economica ed energetica del Giappone, ma anche la sua integrità territoriale. Non troppo distanti da Taipei ci sono le isole Senkaku, amministrate da Tokyo ma rivendicate da Pechino, che le chiama Diaoyu. Secondo il professor Kotani, in caso di invasione di Taiwan, l’esercito cinese potrebbe cercare di conquistare pure le Senkaku.
Amanda Hsiao, analista di questioni cinesi presso il think tank International Crisis Group, ha spiegato che le esercitazioni militari cinesi intorno Taiwan potrebbero favorire la linea del Partito liberaldemocratico al Parlamento giapponese per il potenziamento delle capacità di difesa nazionali. Il Primo Ministro Fumio Kishida aveva già promesso un loro rafforzamento “radicale” nel giro di cinque anni attraverso un aumento “sostanziale” della spesa destinata al comparto, andando a invertire la tradizionale linea pacifista del Paese per reazione all’aumento delle minacce regionali.
“Taiwan è geograficamente vicina al Giappone. Sicuramente un’emergenza a Taiwan avrebbe ripercussioni sul Giappone”, ha ricordato Ian Chong, professore di Scienze politiche all’Università nazionale di Singapore.
Un incidente o un’escalation che andasse fuori controllo rappresenterebbero insomma un pericolo per Tokyo. A detta di Kotani, il Giappone non può fare granché per convincere la Cina a cambiare approccio su Taiwan o a ridurre la portata delle esercitazioni. “Il Giappone, gli Stati Uniti e Taiwan dovrebbero dunque rafforzare la cooperazione sulla raccolta e la condivisione di intelligence”, ha detto. I presupposti sembrano esistere.
Le esercitazioni riguarderanno sette zone in tutto e sono state allungate di un giorno, fino alla mattina di lunedì 8 agosto. Il quotidiano giapponese Japan Times ha scritto che queste manovre non sono soltanto una dimostrazione di forza rivolta a Taiwan (perché in alcuni punti si svolgeranno nelle sue acque territoriali) e agli Stati Uniti (perché sono i principali sostenitori politici e militari del Governo taiwanese). Sono anche un avvertimento al Giappone. Cinque missili balistici cinesi sono peraltro atterrati all’interno della zona economica esclusiva giapponese.