Joe Biden, Boris Johnson e il premier australiano Scott Morrison hanno annunciato insieme un nuovo patto militare per l’Indo-Pacifico sui sottomarini nucleari. Evidenti le intenzioni anti-cinesi
Come il ritiro dall’Afghanistan è stato il simbolo del più generale distacco degli Stati Uniti dal Medio Oriente, così l’accordo sui sottomarini nucleari con l’Australia rappresenta la manifestazione tangibile di un concetto che circola a Washington già da una decina d’anni: ovvero il pivot to Asia, il riorientamento americano verso l’Indo-Pacifico, la regione dove si concentra la sfida alla Cina.
Il mondo sta cambiando, e in fretta. Nemmeno tre anni fa il Primo Ministro australiano, Scott Morrison, volle sottolineare che Canberra non avrebbe dovuto “scegliere” tra il suo maggiore socio commerciale (la Cina) e il suo principale alleato politico (gli Stati Uniti). Frasi di questo tipo si sono poi susseguite via via nel tempo, ma sempre più sfumate e pronunciate, forse, anche con meno convinzione: l’ascesa di Pechino, le sue ambizioni di potenza geopolitica, hanno infatti reso sempre più difficile conciliare rapporti economici e posizionamento strategico. Per l’Australia, ma non solo.
L’accordo AUKUS sui sottomarini nucleari
Alla fine, però, l’Australia una scelta l’ha fatta. Mercoledì Morrison, il Presidente americano Joe Biden e il Primo Ministro britannico Boris Johnson hanno annunciato insieme un nuovo patto militare per l’Indo-Pacifico: si chiama AUKUS (acronimo dei nomi inglesi dei tre paesi membri) e consiste nella fornitura all’Australia, da parte di Stati Uniti e Regno Unito, di tecnologie che le permetteranno di produrre dei sottomarini a propulsione nucleare.
Si tratta, in breve, di sottomarini alimentati con un combustibile nucleare, che non saranno dotati di armi atomiche ma convenzionali. I vantaggi di un sottomarino a propulsione nucleare sono tanti: si tratta di un mezzo in grado di viaggiare più velocemente, per più tempo e senza farsi individuare facilmente; inoltre, l’assenza di una turbina a gas lascia più spazio disponibile per stoccare gli armamenti e il carico.
Nel comunicato dell’accordo AUKUS non viene menzionata la Cina. Ma lo scopo anti-cinese dell’intesa è talmente evidente che Pechino l’ha condannata come il prodotto di una “mentalità datata da Guerra fredda” che “aggrava la corsa alle armi”. Si stima che la Cina possieda almeno sei sottomarini d’attacco a propulsione nucleare, ma il loro numero potrebbe presto crescere visti gli sforzi per il potenziamento delle capacità cantieristiche. Pechino possiede la marina militare più numerosa al mondo, anche più di quella di Washington (350 navi contro 293), benché le imbarcazioni americane siano generalmente più grandi.
Considerata l’assertività cinese al di fuori dei propri confini – i metodi, spesso aggressivi, con i quali cioè porta avanti le proprie rivendicazioni territoriali in Asia –, è probabile che i futuri sottomarini nucleari australiani verranno inviati nelle acque del Mar Cinese meridionale per monitorare la situazione, garantire la libertà di navigazione e mandare messaggi di deterrenza.
La scelta dell’Australia
L’Australia, si diceva, ha scelto. Non perché la sua alleanza con gli Stati Uniti fosse mai stata in dubbio, ma perché l’AUKUS è il segnale di uno schieramento ancora più deciso a fianco dell’America, di una “partnership per sempre”, come l’ha chiamata Morrison. Le tecnologie oggetto del patto sono infatti estremamente sensibili: solo sei nazioni in tutto il mondo possiedono sottomarini a propulsione nucleare; gli Stati Uniti hanno condiviso il loro know-how solo un’altra volta nella storia (con il Regno Unito, nel 1958).
Non è ancora chiaro né il modello – forse saranno dei classe Virginia americani, oppure dei classe Astute britannici – né il costo e nemmeno i tempi di entrata in servizio dei sottomarini nucleari australiani: tutti questi dettagli verranno definiti nei prossimi diciotto mesi. Quello che conta è la direzione, e AUKUS, in questo senso, è solo il primo passo. Giovedì il Ministro della Difesa di Canberra ha infatti annunciato che l’Australia potenzierà la cooperazione sulla difesa con gli Stati Uniti e permetterà il dispiegamento sul suo territorio di “tutti i tipi” di aeromobili militari americani.
Considerato tutto questo, è sempre più probabile che, nel caso in cui gli Stati Uniti e la Cina dovessero farsi la guerra, l’Australia interverrà al fianco di Washington. La scelta di dotarla di sottomarini non è casuale: sono da tempo una delle priorità nel piano d’aggiornamento della marina militare americana, anche perché le capacità cinesi nella lotta antisommergibile sono considerate poco avanzate (un punto debole, quindi).
Per gli Stati Uniti, il patto AUKUS è la dimostrazione che il loro impegno nell’Indo-Pacifico è serio: è questo il messaggio che vogliono rivolgere non soltanto alla potenza rivale, ma anche ai propri alleati e partner regionali (il Giappone, la Corea del sud, Taiwan).
Per l’Australia, AUKUS è la conseguenza dell’instabilità del contesto di sicurezza nel Pacifico e della crisi politica-commerciale con la Cina. L’intesa sui sottomarini non farà bene ai rapporti economici con la Repubblica popolare, e senza dubbio Canberra ha messo in conto di doversi “preparare al peggio”, come ha detto il ministero degli Esteri di Pechino. Difficili prevedere quali saranno le ritorsioni cinesi, che ha già colpito le importazioni di molte merci australiane ma potrebbe non potersi spingere ancora troppo oltre: è vero che l’Australia ha bisogno del mercato cinese, ma anche Pechino necessita delle materie prime di Canberra per alimentare le sue industrie.
Joe Biden, Boris Johnson e il premier australiano Scott Morrison hanno annunciato insieme un nuovo patto militare per l’Indo-Pacifico sui sottomarini nucleari. Evidenti le intenzioni anti-cinesi