La Cina ha chiesto alle Nazioni Unite un’indagine per i crimini commessi dal Canada verso i popoli indigeni. A favore Russia, Bielorussia, Iran, Corea del Nord e Siria
Martedì scorso, durante un incontro del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, la Cina ha proposto l’apertura di un’indagine nei confronti del Canada per i crimini commessi verso i popoli indigeni. Il riferimento era alla scoperta, circa un mese prima, dei resti di 251 bambini indigeni sepolti in un ex collegio cattolico nella città canadese di Kamloops: si tratta di un esempio degli effetti di quel metodo scolastico imposto dal 1883 al 1996 alle minoranze indigene – un metodo che si tradusse in violenze fisiche e abusi sessuali – per assimilarle culturalmente al resto della popolazione, cancellandone lingue e costumi.
Alla proposta di indagine avanzata dalla Cina hanno votato a favore un gruppo di Paesi come Russia, Bielorussia, Iran, Corea del Nord e Siria. Nella stessa riunione, poco dopo, il Canada ha chiesto a sua volta alle Nazioni Unite di aprire un’indagine sulle violazioni dei diritti delle minoranze musulmane commesse dalla Cina. Ottawa si riferiva ai campi di detenzione e lavoro forzato nella regione dello Xinjiang, che riguardano principalmente gli uiguri: le testimonianze parlano anche di sterilizzazioni forzate. La proposta canadese è stata sostenuta da Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito, Australia e Giappone, tra gli altri.
Tre cose da tenere in considerazione
Lo scambio di accuse tra Ottawa e Pechino racconta tre cose.
La prima è la spaccatura ideologica (e geopolitica) apertasi nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite: le democrazie a fianco del Canada, le autocrazie dalla parte della Cina. Cina che, peraltro, è sempre più presente e influente nei tavoli multilaterali. Un esempio: l’Organizzazione mondiale della sanità.
La seconda cosa è il continuo deterioramento dei rapporti tra il Canada e la Cina. Hanno iniziato a precipitare alla fine del 2018, con l’arresto a Vancouver della direttrice finanziaria di Huawei, Meng Wanzhou, su richiesta degli Stati Uniti, che la accusano di frode fiscale. Pechino rispose arrestando a sua volta due cittadini canadesi, Michael Kovrig e Michael Spavor, con delle motivazioni piuttosto traballanti – non a caso si parla di loro come di “ostaggi” – e portando avanti un boicottaggio commerciale verso Ottawa.
La terza cosa è il tentativo cinese di mettere sullo stesso piano le violazioni dei diritti degli indigeni in Canada con le violazioni dei diritti degli uiguri in Cina. Le differenze tra i due fatti non sono ovviamente negli abusi commessi, ma nella risposta politica data dai rispettivi Governi. Il Canada ha riconosciuto le proprie colpe e ha istituito una commissione apposita per condurre un’indagine sui collegi cattolici, che ha stabilito che quel sistema scolastico ha provocato un “genocidio culturale”. La Cina nega invece che vi sia in atto una repressione contro gli uiguri, parla di centri di educazione e impedisce l’accesso allo Xinjiang alle delegazioni delle Nazioni Unite.
“Dov’è la commissione cinese per la verità e la riconciliazione?”, ha detto il Primo Ministro canadese Justin Trudeau. “La Cina non riconosce nemmeno che c’è un problema. È una differenza piuttosto fondamentale”.
A febbraio il Parlamento canadese – non il Governo, però – ha votato per riconoscere come “genocidio” il trattamento della minoranza uigura nello Xinjiang, benché manchi la componente di sterminio fisico. A fine marzo gli Stati Uniti, il maggiore alleato del Canada, hanno accusato la Cina di stare commettendo un genocidio degli uiguri.
La questione della “riconciliazione” tra il Canada e i nativi
L’impegno dell’amministrazione Trudeau per la riconciliazione con i popoli indigeni – che non sono affatto un gruppo omogeneo, ma centinaia di nazioni diverse – non significa che questa sia stata raggiunta. È solo pochi giorni fa, ad esempio, che il Senato ha approvato una legge (il Bill C-15) per adeguare la legislazione canadese ai principi della Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni delle Nazioni Unite.
Le nazioni native (chiamate First Nations) rappresentano circa il 5% della popolazione canadese. Il 30% degli indigeni vive in condizioni di povertà e il 31% ha un basso livello di istruzione scolastica.
Nonostante i progressi fatti, Trudeau resiste all’idea di intervenire più nettamente a tutela degli interessi dei nativi – ad esempio quando alcuni gruppi si oppongono a progetti di sfruttamento dei territori, come il gasdotto Coastal GasLink – per una questione di bilanciamento dei poteri. Il Canada è cioè uno Stato federale, in cui le divisioni tra l’autorità centrale e quelle delle varie provincie sono spesso molto più marcate che in America. L’azione del Governo federale viene percepita dalle istituzioni locali come un’intrusione in ambiti fuori dalla sua competenza – c’è molta sensibilità sulla gestione delle risorse naturali, in particolare –, e questa percezione ha alimentato negli anni tensioni separatiste.
Mercoledì in Canada sono state scoperte 751 tombe anonime in un ex collegio per bambini indigeni a Marieval, nella provincia del Saskatchewan. La Cina ha voluto commentare la notizia: il portavoce del Ministro degli Esteri ha detto ieri che Ottawa dovrebbe implementare delle politiche concrete per la tutela dei diritti degli indigeni, e non soltanto chiedere scusa.
La Cina ha chiesto alle Nazioni Unite un’indagine per i crimini commessi dal Canada verso i popoli indigeni. A favore Russia, Bielorussia, Iran, Corea del Nord e Siria