Il Segretario Generale della NATO è arrivato ad Ankara per una visita di due giorni per parlare della questione svedese. In Svezia sono entrate in vigore le nuove leggi anti-terrorismo, un passo significativo per soddisfare le richieste di Ankara
Il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg è in Turchia questo weekend – 3 e 4 giugno 2023 – per discutere su come accelerare il via libera all’ingresso della Svezia nell’alleanza atlantica. Fino ad oggi, Ankara ha ritardato l’espansione NATO, accusando la Svezia di ospitare terroristi. Adesso, però, Stoccolma ha annunciato una nuova legge antiterrorismo più severa, entrata in vigore questo giovedì, che ci si aspetta che possa soddisfare Erdoğan.
Proprio così, è ancora lui l’uomo da compiacere. Erdoğan, fresco di rielezione, sarà ancora per cinque anni alla guida della Turchia. In un universo parallelo, Stoltenberg avrebbe potuto incontrare Kemal Kiliçdaroğlu, il candidato che si pensava potesse davvero mettere fine al monopolio di Erdoğan. Invece, così non è stato: il “sultano che non perde mai”, ha vinto anche questa volta, in delle elezioni giudicate come “discutibili” dagli osservatori internazionali.
Pressing occidentale per accelerare l’ingresso svedese
La prima tappa del Segretario Generale NATO è stata la cerimonia di inaugurazione per la rielezione di Erdoğan. Poi, domenica 4 giugno, spazio ad incontri bilaterali con il Presidente e con alti funzionari turchi.
Il viaggio di Stoltenberg è totalmente focalizzato sulla questione svedese. Non è un caso, infatti, che oltre a Stoltenberg anche l’ex premier svedese Carl Bildt partecipi al viaggio. Bildt è stato uno dei principali sostenitori della candidatura turca all’Unione Europea durante i suoi primi anni come ministro degli Esteri svedese; dunque, gode di un’ottima reputazione e di grande rispetto in Turchia.
I Paesi occidentali, stanno infatti aumentando le pressioni sulla Turchia affinché quest’ultima sblocchi l’ammissione della Svezia nella NATO. Stoccolma, dal canto suo, ha fatto un ulteriore sforzo per superare l’opposizione di Ankara, rassicurando le sue paranoie sul PKK: giovedì è entrata in vigore una nuova legge contro il terrorismo, che renderà illegale organizzare incontri, fornire aiuto logistico e finanziario, o persino cibo, ai gruppi fuorilegge. La generalità della legge ha suscitato preoccupazioni in Svezia, evidenziando la possibilità che questa violi la libertà di parola e altri diritti fondamentali. Il governo, però, spera che questo drastico approccio convinca finalmente Tayyip Erdoğan a dare il via libera all’adesione alla NATO, prima del vertice dell’alleanza programmato per luglio a Vilnius.
Il direttore delle comunicazioni di Erdoğan, Fahrettin Altun, ha mostrato ancora dubbi a riguardo. Pochi giorni fa ha scritto su Twitter che il governo turco “spera sinceramente che la nuova legge antiterrorismo […] venga applicata correttamente”. Inoltre, è stato chiesto alla Svezia di dare subito prova concreta del suo impegno e perseguire le persone che hanno proiettato la bandiera del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) sul palazzo del Parlamento di Stoccolma in occasione delle elezioni turche.
Stoccolma è stata più volte teatro di eventi che hanno turbato Erdoğan – che della lotta al PKK ha fatto uno dei suoi baluardi – tra cui il rogo di un Corano davanti all’ambasciata turca, lo srotolamento di una bandiera del PKK nel centro della capitale e la proiezione di simboli e messaggi pro-PKK su edifici importanti.
La centralità della Turchia
Le elezioni che si sono appena concluse in Turchia sono state etichettate come le più importanti di tutto il 2023. Questo perché dal futuro del Paese passa anche quello della NATO, del Caucaso, dell’Asia centrale, dell’Ue, del Mediterraneo e del Medio Oriente.
Ankara controlla il passaggio attraverso gli stretti turchi – il Bosforo, il Mar di Marmara e i Dardanelli – che collegano il Mar Nero con il Mar Egeo e attraverso cui passano centinaia di milioni di tonnellate di merci ogni anno. Sul suo territorio, ci sono forze armate e armi nucleari statunitensi. Il Paese ha svolto un ruolo in molti dei conflitti post-Guerra Fredda in Medio Oriente, che tuttora destabilizzano la regione. La sua posizione geografica ha reso il paese un importante punto di transito durante le crisi migratorie, nonché un attore chiave per la loro gestione; a riguardo, Ankara ha saputo sfruttare questo elemento a suo vantaggio, facendo della migration diplomacy uno dei suoi punti di forza per trattare (e ricattare), ad esempio, l’Ue. Inoltre, adesso che la presenza degli Stati Uniti in Medio Oriente si riduce, per l’influenza di Ankara nella regione si prospetta un’ulteriore crescita di importanza.
Tutti questi elementi, negli ultimi 20 anni, sono stati nelle mani di Erdoğan. Negli ultimi due decenni, il Presidente turco ha dominato senza rivali la scena politica del Paese, riformandolo profondamente. Internamente, ha gradualmente eroso le istituzioni democratiche della Turchia, dandogli una forma sempre più illiberale. Per quanto riguarda la politica estera, invece, ha abbracciato un approccio indipendente, non sempre allineato agli interessi NATO.
La pecora nera della NATO
La questione svedese è solo uno dei tanti casi in cui la Turchia si è mostrata disallineata dagli altri membri dell’Alleanza Atlantica. L’essere membro della Nato, e alleato occidentale, non ha infatti impedito alla Turchia di Erdoğan di esplorare altre partnership e relazioni. In particolare, ciò è avvenuto con Cina e Russia, non proprio amici della NATO.
Pechino è dal 2021 il principale partner di Ankara per le importazioni. Nel 2015, la Turchia ha aderito alla Belt and Road Initiative, accedendo dunque a finanziamenti non occidentali per progetti infrastrutturali e instaurando un legame con la Cina che, dato il valore del progetto, è anche politico. Gli stretti legami con Pechino, hanno portato la Turchia a sorvolare sulla dura repressione cinese degli Uiguri, una minoranza musulmana dello Xinjiang, di cui la Turchia ospita la più grande diaspora. Nel 2009, Erdoğan aveva definito “genocidio” gli abusi della Cina nei confronti degli Uiguri, ma da allora l’argomento è finito nel dimenticatoio.
Per quanto riguarda la Russia, Ankara e Mosca hanno un rapporto particolare. Collaborano su progetti infrastrutturali e la Turchia dipende fortemente dalle importazioni di energia russe. Tuttavia, i due Paesi hanno appoggiato parti opposte nei recenti conflitti.
Nell’ultimo scenario, la guerra tra Russia e Ucraina, la Turchia ha fatto l’equilibrista tra i due Paesi. Ankara ha fornito droni a Kiev, ha appoggiato il voto delle Nazioni Unite che condannava l’invasione russa e ha bandito tutte le navi da combattimento dallo Stretto di Turchia, nonché bloccato gli aerei russi diretti in Siria dallo spazio aereo turco. Allo stesso tempo, però, si è opposta alle sanzioni occidentali contro la Russia, che avrebbero minato la propria sicurezza energetica. Come riporta il Council on Foreign Relations, la Turchia mira a posizionarsi come mediatore nel conflitto, portando avanti i suoi interessi.
Adesso che Erdoğan è stato rieletto, è lecito aspettarsi che l’atteggiamento della Turchia in politica estera rimarrà uguale, continuando a mantenere una posizione da “pecora nera” all’interno dell’Alleanza Atlantica.