Nei rapporti con la Cina, la coalizione di governo è divisa. La Germania non ha interesse a sganciarsi dalla Cina dal punto di vista economico, ha dichiarato Scholz, ma Verdi e Liberali hanno idee molto diverse su questo
Se qualcuno per caso avesse nutrito dei dubbi, questi possono dirsi completamente dissipati: la Germania non ha intenzione di interrompere i propri rapporti con la Cina, né ora né nel prossimo futuro.
Lo ha mostrato la visita a Berlino del nuovo Primo Ministro cinese Li Qiang, che ha incontrato il Presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier lunedì e il Cancelliere Olaf Scholz il giorno successivo. E che ha dato un’immagine più che positiva dei rapporti tra i due Paesi. Da un punto di vista simbolico, innanzitutto: il Primo Ministro cinese si è recato in Germania per il primo viaggio istituzionale da quando è in carica ed è stato accompagnato da ben dieci ministri, sottolineando in questo modo una certa attenzione per la relazione con Berlino. Interesse totalmente ricambiato, del resto, come dimostra il fatto che al meeting si è presentata infatti buona parte del governo tedesco. Ma anche i risultati degli incontri sono stati significativi: Cina e Germania hanno concluso accordi di cooperazione scientifica e commerciale, hanno programmato una collaborazione nella lotta al cambiamento climatico e si sono ripromessi di cooperare nello sviluppo di nuove tecnologie.
Ma è stato lo stesso Scholz a voler rassicurare: la Germania non ha alcun interesse a sganciarsi dalla Cina dal punto di vista economico, ha affermato. “Ridurre i rischi non significa abbandonare la globalizzazione e il commercio – ha detto nel suo discorso – Si tratta della concorrenza leale”.
Sebbene siano abilmente mascherate, però, le tensioni rimangono. D’altronde “non è più il 2018”, come fa notare il giornale progressista Die Zeit in un editoriale, facendo riferimento alla data in cui si era tenuto l’ultimo incontro simile tra i due governi, e “il mondo in questi cinque anni è diventato un altro”. Angela Merkel non è più la cancelliera, prima di tutto. La competizione tra Stati Uniti e Cina è aumentata notevolmente e Pechino è diventata in questi anni sempre più nazionalista, sotto la guida fortemente autoritaria di Xi Jinping. Ed infine è scoppiato il conflitto in Ucraina, con la Cina che ha deciso di non isolare né condannare nettamente la Russia, distanziandosi così dall’atteggiamento occidentale.
Che il mondo sia cambiato è evidente guardando all’insistenza con cui Scholz fa riferimento alla necessità di contenere i rischi, nei rapporti con Pechino: un aspetto che mostra come la relazione con la Cina sia innegabilmente problematica. Dopo anni in cui Berlino ha dato spazio soltanto ai propri interessi economici e commerciali, cercando e fingendo di non vedere le implicazioni geopolitiche delle proprie azioni, questo non è più possibile. L’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca ha obbligato la Germania a un brusco risveglio e a riflettere più a fondo sull’opportunità di legarsi a doppio filo con regimi che di liberale hanno ben poco.
Oltre ad essere stato forzato dal contesto internazionale, il cambio di approccio di Berlino è stato dovuto anche dalle dinamiche interne allo stesso governo tedesco. Uscita di scena la Merkel, al governo ci sono ancora i socialdemocratici che, nonostante tutto, restano affezionati alla realpolitik e all’idea di mettere gli interessi economici al centro anche dei rapporti più controversi. Ma il partito di centrosinistra è affiancato al governo da Verdi e Liberali, che hanno idee molto diverse. La formazione ambientalista insiste da sempre sull’esigenza di guardare ai diritti e al rispetto della democrazia nelle relazioni internazionali e, ora che la verde Annalena Baerbock è ministra degli Esteri, questa linea sembra essere quella dominante all’interno dell’esecutivo. I Liberali sono a loro volta restii a legittimare azioni e idee autoritarie di altri regimi: lo hanno mostrato nelle ultime settimane, quando una delegazione del partito si è recata a Taiwan, causando non poca irritazione da parte di Pechino.
Le incomprensioni interne al governo si sono mostrate nell’ultimo periodo in particolar modo per quanto riguarda proprio il dossier cinese, nello specifico con l’acquisizione di una quota del porto di Amburgo da parte della compagnia di stato cinese Cosco. Il cancelliere socialdemocratico ha dato il via libera, considerando l’affare una semplice questione commerciale. Ma la sua scelta è stata duramente criticata dai partner di governo, che hanno sottolineato quanto sia poco opportuno far entrare Pechino in infrastrutture strategiche.
Nei rapporti con la Cina, la Germania resta quindi a metà strada, senza volere né probabilmente potere scegliere con decisione da che parte andare. La prima economia europea resta troppo legata a Pechino per rompere i rapporti, soprattutto per l’importanza della Repubblica popolare come sbocco dei prodotti tedeschi e per il ruolo cruciale giocato dalla Cina nella produzione di varie tecnologie che sono fondamentali per la produzione di energia pulita e per la transizione ecologica.
Berlino prova perciò a limitare i danni, esponendosi meno di quanto fatto verso Mosca negli anni passati e cercando di mettere dei paletti alla propria dipendenza da Pechino. Ma oltre agli aspetti retorici, continua a non avere un vero piano per staccarsi dalla Cina, nel caso scoppino forti tensioni tra il Paese e il campo occidentale nel medio periodo.
Se qualcuno per caso avesse nutrito dei dubbi, questi possono dirsi completamente dissipati: la Germania non ha intenzione di interrompere i propri rapporti con la Cina, né ora né nel prossimo futuro.